«I semi ci riguardano». L’uso che ne facciamo, il controllo o la condivisione che su di essi esercitiamo possono variamente declinare e interpretare le vie della nostra sovranità alimentare, dell’ampiezza del patrimonio dato di biodiversità, della coerenza e pluralità di forme del nostro paesaggio. Nel XX secolo, dati FAO, sono scomparse più del 75% delle varietà di piante coltivate al mondo. E con l’applicazione alle sementi agricole del sistema di “tutela della proprietà intellettuale”, in relazione stretta con il modello di agricoltura industriale della monocoltura intensiva, il 75% del mercato dei semi è stato confiscato nei brevetti di 5 multinazionali. Alterandosi così quel millenario processo di selezione e adattamento delle varietà coltivate, continuamente attivato da un’agricoltura contadina che sempre si adegua in modi diversi alle specificità di luoghi, condizioni climatiche, habitat. È a partire dalla difesa del libero scambio di semi tra i coltivatori, delle varietà locali divenute native e perciò “tradizionali”, patrimonio delle comunità rurali, che muove il racconto delle ragioni della piccola agricoltura contadina proposto come una raccolta di punti di vista convergenti e di utili materiali di servizio nel volume di Davide Ciccarese, I semi e la terra. Manifesto per l’agricoltura contadina, Altreconomia, pp. 160, € 10.00. Una piccola agricoltura contadina fattasi ricca di diversi sistemi e modelli produttivi, di molte esperienze che, favorendo e conservando la biodiversità agricola, finiscono per costituire una più ampia forma di presidio, di “resistenza biodiversa”. Un modello alternativo a fronte del convergere degli esiti nefasti di molte forme di sottrazione e consumo di suolo – dall’urbanizzazione, alle colture “energetiche”, dai pannelli fotovoltaici, agli agro carburanti, al portato di diete alimentari che prevedono un sempre maggiore consumo di carne e quindi una diffusione dell’allevamento dagli enormi costi ambientali, fino alle pratiche di accaparramento planetario di terre agricole da parte di multinazionali e di speculazione sul cibo sui mercati finanziari – e di un’agricoltura industriale che privilegia monocolture intensive, secondo le logiche dell’industria biotecnologica e della grande distribuzione organizzata con perdita di biodiversità, erosione dei suoli, inquinamento da utilizzo smodato della chimica e delle energie fossili.
Dando conto della multiforme presenza di organizzazioni, movimenti e reti di associazioni che prendono parola, nel volume ecco le testimonianze di un’agricoltura che rivendica tutela della varietà delle produzioni alimentari, utilizzo dei terreni demaniali, forme alternative di distribuzione, mentre propugna nuovi modelli di consumo alimentare, una legislazione che promuova particolari regimi normativi sanitari e fiscali «per chi pratica un’agricoltura a basso impatto ambientale, di piccoli numeri», un’agricoltura che «considera terra e semi come beni comuni necessari per la sovranità alimentare dei popoli».
Forte delle sua capacità adattativa, l’agricoltura contadina si sottrae al paradosso energetico di quella industriale che dissipa più di quanto non produca tentando di controllare tutte le variabili. Oltre a mantenere popolate le campagne e viva la varietà di tecniche e produzioni locali e dei saperi dei territori, le forme di agricoltura tradizionale e contadina, come anche quelle alternative di agricoltura eco compatibile (biologica, biodinamica, sinergica, permacoltura, …), si ispirano alla natura, fondandosi sulla diversificazione e utilizzando in maniera integrata elementi e forze naturali. Con rese che aumentano rispetto a quelle convenzionali. Di prodotti e di nuovi semi. Da piantare e scambiare.
Davide Ciccarese, I semi e la terra. Manifesto per l’agricoltura contadina, Altreconomia, pp. 160, € 10.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica III, 10, Supplemento de Il Manifesto del 31 marzo 2013