Con l’incedere dissacrante e provocatorio di un pamphlet e l’andamento veloce e zigzagante che occorre quando si sperimentano percorsi di pensiero, Il sentiero dell’architettura porta nella foresta (Franco Angeli, pp. 172, € 15.00) ci invita a riconsiderare tempi e movenze del rapporto con l’esterno e con il mondo vegetale che dall’origine ci ha caratterizzati come specie homo sapiens; per poi rintracciare gli esiti attuali di tale intima relazione e ricavarne una serie di indicazioni e proposte progettuali. Così, Maurizio Corrado, esperto di architettura ecologica, direttore al riguardo di una estrosa rivista di interdisciplinare cultura, Nemeton, riprende qui con un approccio onnivoro parole d’ordine e immagini forti di un discorso svolto e argomentato in altri contesti “tecnici”. Da almeno 150.000 anni siamo evoluti in una strettissima interrelazione con l’ambiente naturale dove il nostro modello comportamentale prevedeva il nomadismo dei cacciatori-raccoglitori. Quindi solo “di recente” dal punto di vista evolutivo, negli ultimi 12.000 anni, con l’affermarsi dell’agricoltura, siamo progressivamente diventati sedentari. Da allora e poi con la scrittura e la civiltà costruita si rafforza la tendenza a vivere all’interno. Non a caso, con l’agricoltura, l’architettura condivide miti, rituali, simbologie. L’ipotesi è che oggi, con le città fluide, sull’onda delle radicali trasformazioni a partire dagli anni 70 di stili di vita e usi del tempo, con il moltiplicarsi e il variare della scala territoriale degli spostamenti, e dagli anni 90 con la rete che esporta il dinamismo nomade nella dimensione virtuale, ci si stia distaccando da quel modello sedentario, una parentesi di qualche millennio, per riavvicinarci a un modello sempre più mobile. E che questo, sotto vari aspetti, ci sia congeniale. “Noi siamo fatti per stare fuori e per muoverci”. E il fuori è stato per molte migliaia di anni, e noi malgrado ancora è, essenzialmente costituito dalle piante. Ben di là dagli indubbi benefici che la loro presenza determina, noi “stiamo bene” tra le piante. La consapevolezza di questo primordiale rapporto costitutivo tende oggi a essere recuperata non soltanto nel segno di un ritrovato sentimento di unità con la natura, quanto in una dimensione operativa, come risposta alle problematiche delle quali ci investe la cultura ecologica. Ne consegue la proposta di un rovesciamento di prospettiva. Se fin qui si è pensato al verde come elemento di corredo, ornamento, come arredo del costruito, si tratta ora invece di rimettere quest’ultimo al servizio del verde, ponendo al centro lo spazio aperto, il nostro ambiente. Mentre deve progettualmente aumentare la presenza delle piante negli spazi interni, facendovi entrare l’esterno, occorre concepire gli edifici stessi come degli esterni. Idearli “pensandoli come piante, in rapporto diretto con sole, aria, tempo”. Oltre le tecnologie che combinano vegetale e costruito, come il verde pensile, il verde verticale o le biopiscine, la vegetecture, sorta di crasi tra verde e architettura, privilegia del tutto il verde come elemento compositivo vitale. “La città che ne deriva tende a portare dentro di sé la foresta, non costruendo altri giardini ma togliendo confine tra spazio della natura e spazio del costruito”.
E se qui il sentiero per la foresta urbana si dispiega come reticolo di cammini interrotti e ritrovati, su tutt’altro piano, molti dei temi e delle suggestioni evocate si ritrovano ricomposti nell’Atlante delle nature urbane. Centouno voci per i paesaggi quotidiani (sempre a cura di Corrado, con Anna Lambertini, Editrice compositori, 2011, pp. 271, € 24.00) in una costellazione punto a punto più che interdisciplinare che raccoglie Temi e parole chiave, Materiali e componenti, Strumenti e azioni, da Abitanti paesaggisti a Verde verticale a … Zapping urbano.
Maurizio Corrado, Il sentiero dell’architettura porta nella foresta, Franco Angeli, pp. 172, € 15.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica, Supplemento de Il Manifesto del 2 dicembre 2012