È significativamente intitolato L’enigma di Jorn de Précy il testo che ci introduce alla figura dell’autore pressoché sconosciuto del volumetto Il giardino perduto. Erede di una famiglia di facoltosi commercianti, Jorn abbandona diciassettenne i vuoti paesaggi dell’Islanda per girovagare tra Italia e Francia prima di stabilirsi in Inghilterra e dal 1865 dare vita nell’Oxfordshire al giardino della sua vita, Greystone. Pubblicato in inglese nel 1912 in poche migliaia di copie, The Lost Garden, il suo breve, anomalo per i tempi, spesso controcorrente, per tanti versi inattuale, anticipatore, trattato di liberazione del giardino circola pressoché clandestinamente, senza lasciare tracce di sé e del suo autore se non nelle note del curatore, Marco Martella, che, fortunosamente ritrovatane una copia, lo mette finalmente a disposizione dei lettori (in italiano con il titolo, E il giardino creò l’uomo, Ponte alle grazie, pp. 125, € 10). Con tanto di ricostruzione del contesto culturale, del suggestivo affollarsi di incontri tra protagonisti di primo piano, giardini variamente perduti, trame fitte di suggestioni e influenze disseminate al punto da sorprenderci per il loro fin troppo denso assieparsi. Testimone degli esiti di un’industrializzazione che travolge uomini e luoghi, de Précy si fa critico radicale di una società arresa al «naufragio della modernità», alla tirannia del progresso. Per resistere tra luoghi resi anonimi, inerti, deserti di ogni spiritualità, di anima, non resta che il giardino; rifugio ultimo nel tentativo di ripristinare una relazione armoniosa, un dialogo vero tra uomo e natura. Quando anch’esso non sia ridotto a merce e vetrina, risulta luogo di resistenza, di pur inconsapevole dissenso. Il giardiniere-poeta-nella-pratica alla de Précy si muove all’insegna del rispetto del luogo, del genio che lo abita; ne coltiva il mistero e, andando oltre le indicazioni del suo amico William Robinson per un Wild Garden (1870), dilata al giardino intero l’anelito libertario che lo vuole franco da ogni artificialità. Limitando il proprio intervento a assecondare il flusso della vita che nel giardino si dispiega, ne riscopre a ritroso il senso fino a farsi custode di un “giardino planetario” ante litteram. Se in una fase della sua vita, de Précy militerà perfino per diffondere la sua idea dell’”uomo-giardiniere” negli ambienti progressisti, certo non immediatamente sensibili al rilievo politico del giardinaggio, per il resto è la sua esperienza nel giardino di Greystone a alimentare il filo delle riflessioni del suo volume fantasma.
E certo bisognerà riconoscere al curatore autore Martella (fondatore in Francia di una rivista su filosofia e poetica del giardino intitolata ai Jardins, al plurale) l’efficacia del ben congegnato meccanismo narrativo del “volumetto ritrovato”, inesistente come l’autore – meccanismo svelato da un’enigmatica, anch’essa, Nota dell’editore in coda al volume. Se per tutta la lettura una straniante sensazione di sorpresa ammirazione per l’anticipatrice visione di tante idee, talvolta ancor oggi confusamente diffuse, ci accompagna nel tentativo di ricucire sul filo di una sdrucciolevole filologia i tanti elementi disseminati a convergere proprio tutti qui. Si finisce così poi per andarli a ricercare, rileggendo il volumetto una volta sopito il disappunto per il gioco svelato alla nota finale, e per rassicurarci sulle sensazioni provate. Nonché, malgrado tutto, per ritrovarci ancora in visita a ripercorrere il parco perduto di Greystone. Dove il genio che lo abita «aveva un debole per i luoghi nascosti, muschiosi». Quel Greystone, vogliamo credere, lodato da Claude Monet in visita nel 1906 e dove l’amica Gertrude Jekyll aiutava de Précy a adornare la casa di fiori e frutta del giardino, che di volta in volta accoglieva ospiti come il maestro William Morris, fino a una recentissima ammirata visita di «un giovane romanziere tedesco assai promettente, un certo Hermann Hesse».
Jorn de Précy, E il giardino creò l’uomo, a cura di Marco Martella, Ponte alle grazie, pp. 125, € 10, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica 25, Supplemento de Il Manifesto del 24 giugno 2012