Parlare di paesaggio, termine ombrello quant’altri mai, definizione omnibus dove si affollano gerghi e competenze, evoca comunque nel senso comune, sempre meno uno scenario di derivazione estetica – a lungo sfondo dove avviene altro dal fulcro della narrazione –, e sempre più uno spazio tempo reale e proiettivo. Paesaggio come esito in divenire di relazioni ricombinate (delle variabili naturali, delle culture materiali, delle proiezioni mentali), occasione di un protagonismo dove ri-conoscersi e operare (al riguardo merita leggere il numero monografico Sul Paesaggio del trimestrale Lettera internazionale (n 105, ultimo in libreria). Di pari passo con la sua accresciuta attrattività e capacità di caricarsi di senso, negli ultimi decenni il paesaggio ha visto i saperi disciplinari che si sono applicati a indagarlo riferirsi a un prioritario operare pratico. Si è andata così profilando la strada di un’indagine interdisciplinare di sintesi funzionale a alimentare un circuito virtuoso di presa di consapevolezza e propositività decisionale partecipata. In quest’alveo e per un pubblico non di specialisti sembrerebbe muoversi Hansjörg Küster con la sua Piccola storia del paesaggio, Donzelli, pp. 143, 2010, € 17.00. Noto ai lettori italiani per un’interessante Storia dei boschi (Bollati Boringhieri 2009 nella collana Oltre i giardini di cui si aspetta la ripresa), docente di Ecologia botanica, Küster porta nel suo approccio all’osservazione del paesaggio una prospettiva di ampi archi temporali. Richiama correlazioni tra paesaggi e fenomeni naturali (vulcanismo, deriva dei continenti, erosione …) misurando l’influenza della natura sull’asse delle ere geologiche come sul crinale delle improvvise catastrofi, fino a considerare il ritmo dei cambiamenti stagionali. Ripercorre l’imporsi sul paesaggio delle tracce dell’agire degli uomini, dai processi di domesticazione, alle tappe di una sedentarietà che si struttura in civiltà; dal prodursi dei paesaggi agrari, alle dinamiche di relazione con il bosco, le urbanizzazioni, fino alle riforme agrarie e all’industrializzazione. Ma, come viene ricordato, l’insieme di questi elementi assume senso (di paesaggio) nella considerazione delle relazioni che li tramano nonché nelle rielaborazioni che li interpretano. Tra queste, Küster fornisce una sua rassegna di luoghi comuni. Di paesaggi idealizzati. Perlopiù del passato. Esito del disallineamento tra rappresentazioni e processi. Paesaggio come metafora, come intitola il capitolo dove le enumera: metafore del “selvaggio, sublime, paradisiaco, libero, naturale, sconosciuto, esotico, arcadico, familiare, protetto”. E a La natura protetta Küster dedica un ragionamento dove ripercorre l’evoluzione del concetto di tutela – passando per il principio di sostenibilità e marcando la distanza con ogni istanza di rinaturalizzazione – per convenire di applicarlo correttamente proprio al paesaggio. Dopo aver ribadita la distinzione, terminologica e concettuale, tra una natura che si trasforma continuamente e un paesaggio condizionato, costruito e perciò stesso – in un’aspirazione alla permanenza condivisa già con il giardino – inevitabilmente culturale. Quale paesaggio di volta in volta, alla luce di una sua pur piccola storia, meriti di essere prospetticamente tutelato dipende dalla visuale con cui si immagina, in un “compromesso intersoggettivo” di molti, il nostro paesaggio per il futuro.
Hansjörg Küster, Piccola storia del paesaggio, Donzelli, 2010, pp. 143, € 17 recensito da Andrea Di Salvo su Alias 49 – Supplemento de Il Manifesto 11 dicembre 2010