Padiglioni, terrazze d’acqua, artificiale naturalezza

Giardino della Meditazione Silenziosa. Giardino del Signore delle Reti. Giardino del Frutteto del Leone. Ma anche, Padiglione delle Onde che si Sollevano. Ponte Piccolo Arcobaleno Volante. Padiglione Ascolta la pioggia…  L’importanza attribuita nella cultura cinese al nome da dare alle cose si riverbera nella storia dei giardini tradizionali e evidenzia la costante dell’interconnessione tra scrittura letteraria, pittura di paesaggio e, appunto, arte dei giardini. Se la costruzione stessa del Torrente del Calice Galleggiante nel Giardino Qianlong “si suppone modellata sul corso d’acqua elegantemente sinuoso dipinto da Wang Xizhi, famoso calligrafo nel suo Preludio per il Padiglione delle Orchidee Cymbidium, l’invito ad ascoltare il rumore del cadere della pioggia sulle spesse foglie di loto o di banano nell’omonimo padiglione del Giardino dell’Umile Amministratore a Suzhou segue la penna del poeta Yang Wanli della dinastia Song; e il padiglione a forma di ventaglio detto “Con chi mi siederò” (riferimento autoironico alla solitudine del funzionario caduto in disgrazia) riprende un verso di Su Dongpo. Certo, si tratta di nomi e suggestioni che svariano secondo che ci si volga, piuttosto che ai giardini privati, a quelli imperiali o ai giardini del paesaggio naturale; che si segua il migrare, con le dinastie, delle capitali e il trasmutare delle condizioni climatiche e vegetali del nord o del sud dell’impero di mezzo. Ma pur sempre nomi che ancora dicono degli universi di riferimento, delle funzioni, dei protagonisti di una storia complessa ritratta con essenzialità da Fang Xiaofeng, ne I grandi giardini cinesi. Storia, concezioni, tecniche, Jaca Book, pp. 256, 2010, € 75.00.

Sullo sfondo della trama di riferimento che incrocia i principi tradizionali di yin e jang, del fengshui, … la relazione uomo-natura – fondativa della cultura tradizionale cinese – è indagata per come si è andata variamente declinando nell’estetica del giardino in una paradossale “artificiale naturalezza”. Dove ogni elemento contribuisce a produrre un’immagine generale, sintetica; a “integrare quanto più possibile includendo tutto ciò che la natura offre”. Obiettivo culturale, estetico, che va di pari passo con l’obiettivo “politico” di unificare le diversità. Da ciò, l’importanza di concetti chiave come: mezzo, centro (per cui le posizioni centrali definivano al contempo rilievo e bellezza); l’enfasi sulle sequenze di prospettive con cambi di scena “ad ogni passo”, il ricorso alla sorpresa delle “visuali inaspettate”, come anche all’utilizzo di spazi virtuali, similari a quelli lasciati vuoti nei dipinti tradizionali cinesi, per far vagare l’immaginazione.

Un’analisi dell’evoluzione storica dei giardini classici cinesi introduce nel volume a una rapida rassegna dei principi estetici e a un fondamentale repertorio ragionato degli elementi paesaggistici che nei diversi contesti li inverano. Le molte strutture architettoniche (padiglioni, terrazzi d’acqua, sale-battello), i confini e le delimitazioni (muri, pavimentazioni policrome, finestre ornamentali); i giardini di rocce variamente associate (in pendii, dirupi, gole, …), ma dalla ricercata conformazione irregolare del singolo elemento, “evocativa del tratto di pennello di un antico dipinto”. E ancora, i percorsi panoramici, i camminamenti, i ponti a emiciclo che completano il cerchio riflettendosi in un’ampia varietà di paesaggi d’acqua. Elemento centrale del giardino e del suo lessico, con i riflessi, i rumori, l’ospitalità data alla vita. E, connotative della vita, le piante (qui, piuttosto trascurate): contrappunto verticale all’andamento orizzontale del giardino, scelte in relazione stretta al luogo deputato, con riguardo all’armonia di forme, al loro valore simbolico, al ruolo di interpreti del susseguirsi delle stagioni, agli effetti acustici del loro interagire con gli elementi come il vento, la pioggia, … L’interessante rassegna smarrisce talvolta il raccordo con la ricca documentazione fotografica e con la presentazione di specifici giardini che occupa la seconda parte del testo. Qui, nell’aspirazione di sottrarre la complessa vicenda del giardino cinese all’evidente rischio di appiattimento su una vulgata tipologizzata e cristallizzata nel passato, si propone da ultimo l’episodio del Giardino Xiling, degli inizi del XX secolo, per poi sbilanciarsi alla ricerca di una modernità del “giardino cinese classico per un nuovo secolo”, citando due realizzazioni del famoso architetto cino americano Ieoh Ming Pei (classe 1917). Quando semmai, superato il vieto dibattersi tra tradizione del passato e occidentalizzazione, merita guardare oltre il giardino a proposte che pure non mancano, come quella dei paesaggisti di Turenscape guidati da Kongjian Yu, di un’architettura cinese del paesaggio intesa come arte del sopravvivere, nuova estetica di progettazione ambientale.

Fang Xiaofeng, I grandi giardini cinesi. Storia, concezioni, tecniche, Jaca Book, 2010, pp. 256, € 75.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias 44 – Supplemento de Il Manifesto 6 novembre 2010