Antiche rose neopop

A conferma del ruolo che spesso si attribuisce alla rosa, di rappresentare e replicare in metafora la varietà di bellezze e asperità che del mondo sperimentiamo, l’elenco in exergo di ognuna delle sezioni in cui si articola la collezione di Rose perdute e ritrovate illustrata da Carlo Pagani e Mimma Pallavicini per le Edizioni Pendragon (pp. 215, € 15.00) suona come l’appello degli allievi di una variopinta classe multietnica.
Si va dalla pimpinellifolia Persian Yellow, selvatica a fiore stradoppio, con le grandi spine nerastre, alla gallica versicolor, variegata con fiori di diversi colori mescolati, cremisi, bianchi … e dalle deliziose bacche aranciate in autunno; dalla muscosa Japonica dove il profumo che emana dalla fitta peluria, i tomenti lungo i fusti, precede addirittura la fioritura, alla chinensis Mutabilis con fiori semplici color giallo miele tendente all’arancio che, per definizione, col passare dei giorni virano al rosa e quindi al rosso cremisi; alla rugosa Blanc Double de Coubert dal delicato persistente profumo anche notturno…Rose perdute_Vìride Andrea DI Salvo
Denominazioni che tradiscono connotati, provenienze, destini e dedicatari, precisate per ciascuna delle predilette rose, per lo più antiche, nelle schede introduttive dove, pur risalendo gli anni       e l’areale di introduzione, gli ibridatori e le parentele degli incroci che le determinano, spesso occorre constatare come per molte restino comunque ignote origini e parentela. Poco importa. Tanto parlano per sé.

In analogia con le sinestetiche descrizioni che rincorrono la traccia dei bouquet di un vino e del suo terroir – che pure sempre richiama l’immagine di un cespuglio sentinella di rose in testa ai filari (a segnalare in anticipo l’arrivo di malattie anche per le viti) –, la passione del collezionista sbalza in effigie il profilo di ciascuna individualità (e nessuna vorrebbe sacrificare) evocando in rassegna volta a volta il portamento e la forma del fiore, il colore rosso insolito dei rami, le foglie a forma di felce, le bacche in grappoli simili a corniole o quelle a forma di bottiglia rosso aranciato. E ancora le spine, a uncino, larghe e accoppiate, o vistosamente rosso sangue come nella giovane pteracantha se ammirate in trasparenza, il fogliame profumato quando viene sfiorato con le dita, i boccioli che restano a forma di sfera anche da aperti.

Oltre le indicazioni della manualistica, gli autori si muovono qui in controtendenza valorizzando quelle rose antiche che si caratterizzano per l’elegante discrezione e per le essenziali, imperdibili fioriture, suggerendo impieghi compositivi intesi a contestualizzare nella trama delle ragioni estetiche del gusto e del progetto la passione assoluta del collezionista per l’esemplare.
Da anni impegnati in un’instancabile, ecumenica, talvolta sentimentalmente nostalgica, ma a tratti ironicamente neopop attività di divulgatori, gli autori propongono una loro personale “minuscola antologia” di aneddoti, citazioni e memorie dove la rosa figura protagonista di una serie di componimenti poetici. Dove ciascuno può scegliere secondo le proprie predilezioni, da Poliziano a Giovan Battista Marino, da Pascoli a Ungaretti via Fogazzaro, dalla Lezione del giardiniere di Brecht, in equilibrio tra verza e porro e la rosa di Mileto, alla rosa di Rilke, “libro socchiuso /che contiene tante pagine/di felicità minuziosa che non leggeremo mai. Libro magico / … dal quale le farfalle escono confuse/per aver avuto le stesse idee”.

Carlo Pagani e Mimma Pallavicini, Rose perdute e ritrovate, Edizioni Pendragon, pp. 215, € 15.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica VI, 15, Supplemento de Il Manifesto del 10 aprile 2016