La pubblicazione e diffusione scientifica dell’enorme mole di campioni e di dati, specialmente botanici, raccolti nel corso del suo lungo e avventuroso viaggio nei mari del Sud da un giovanissimo ma già affermato naturalista, Joseph Banks, tardava a tradursi in volume ancora molti anni dopo il suo acclamato rientro in Inghilterra, nel 1771. E ciò, malgrado le insistite sollecitazioni nientemeno che dell’inventore del sistema di nomenclatura binomia con il quale da allora si aspirava a mettere ordine nella natura delle cose. Prima che i tarli o il fuoco rischiassero di divorare quegli esemplari unici, Linneo non si stancava di perorare la causa della loro pubblicazione per il tramite del suo migliore allievo, lo svedese Daniel C. Solander, che di Banks era stato compagno in quella mitica impresa.
Salpati a fine agosto 1768 sul brigantino a palo «Endeavour» al comando del capitano James Cook, dopo tre anni nei quali avevano circumnavigato il globo, scoprendo en passant e cartografando nuovi possedimenti da rivendicare all’impero britannico, erano tornati in patria con un bottino di 30.000 esemplari di semi e piante essiccate, tra le quali 1.400 specie sconosciute nel Vecchio Mondo, destinate, tra l’altro, a ibridare lo stile dei giardini del tempo.
Parkinson, acquerelli e schizzi
Da allora, di pari passo con il procedere del lavoro di catalogazione, specialmente a cura di Solander, quel Joseph Banks che presto sarebbe diventato il motore principale dello sviluppo della moderna scienza botanica britannica aveva impiegato cinque pittori per completare l’opera dell’artista Sydney Parkinson, anch’egli imbarcato sull’«Endeavour» con altri illustratori e cartografi allo scopo di documentare le scoperte del viaggio e in particolare gli esemplari di piante collezionati, fintantoché erano ancora freschi.
Deceduto prima del concludersi della missione, Parkinson aveva comunque fatto in tempo a dipingere oltre 269 acquerelli e, incalzato dall’ampliarsi della messe di esemplari individuati via via che si toccavano nuove terre, sempre più velocemente aveva schizzato con linea vivace e rigorosa minuzia non meno di 674 dettagliati bozzetti, corredandoli sul verso del foglio di precise note di colore, in vista della pubblicazione. Diciotto incisori avevano poi lavorato alla realizzazione di quasi 750 tavole dalle quali erano state tirate però soltanto delle prove di stampa in bianco e nero che variamente circolavano tra gli studiosi.
Il progetto editoriale prevedeva complessivamente la stampa di quella mole di incisioni in 14 volumi in folio. Ma nei decenni successivi la pubblicazione risulterà tuttavia accantonata. E non avrebbe trovato compimento se non duecento anni più tardi.
Il volume di grande formato intitolato Joseph Banks Florilegium Tesori botanici dal primo viaggio di Cook (Einaudi, pp. 320, € 90.00) propone ora per l’Italia proprio una selezione dall’intera serie delle stampe finalmente pubblicata soltanto nel 1990 presso la Alecto Historical Editions. Quando, dopo un certosino lavoro di recupero delle matrici, veniva infine realizzata un’edizione a colori a tiratura limitata ottenuta avvalendosi della antica tecnica à la poupée che, con un’unica inchiostrazione, consente una resa precisa dei colori, come si racconta nella postfazione di Joe Studholme.
Riprodotte a grandezza naturale con straordinaria perizia grafica, le piante prescelte vengono ora presentate nella sequenza cronologica degli approdi dove sono state raccolte, da Madera a Tahiti, dalla Nuova Zelanda alle coste orientali dell’Australia, a Java, specificando, per ciascun individuo, l’appartenenza e le caratteristiche, nonché il nome dell’artista e dell’incisore ritrattisti. Corredate di didascalie e dei commenti del botanico David Mabberley, nel complesso le tavole costituiscono una narrazione di grande raffinatezza, dall’impaginazione del soggetto alla cura scientifica nella resa dei dettagli. Testimoniando il combinarsi della curiosità per il dilatarsi di nuovi orizzonti e dell’aspirazione per la catalogazione del reale.
Ancora, oltre al procedere del viaggio di esplorazione dell’«Endeavour», le tavole del Florilegium raccontano in controluce il nuovo spirito del tempo, incarnato dalla vicenda biografica e intellettuale di Banks, come ci ricorda Mel Gooding nel saggio di inquadramento, da avventuroso naturalista a patrono di grandi istituzioni scientifiche, grande organizzatore, consigliere del re…
Resta l’interrogativo sulle ragioni dell’abbandono della pubblicazione del Florilegium. Certo la morte improvvisa del caro amico Solander nel 1782 fu per Banks un grave colpo; sicuramente lo condizionarono la miriade di impegni scientifici e istituzionali, la quarantennale presidenza della Royal Society, la responsabilità di coordinare Kew Garden per il cui tramite invierà in giro nel mondo i suoi cacciatori di piante con un occhio sempre più attento alla valenza economica della diffusione coloniale dei «nuovi» vegetali. E certo anche gli esorbitanti costi che comportava una pubblicazione così ricca e articolata. Che in maniera inedita per il periodo aveva accuratamente pianificato il sistematico ricorso alla resa in immagine come strumento di documentazione scientifica.
Due case-museo a Londra
Ma più di ogni altra cosa, nel rapido incedere delle cose, deve aver contato il venir meno della ragione pratica della divulgazione delle sue scoperte. Molte delle quali, proprio per questo, scivolate nell’attribuzione ad altri.
Generosamente, come già per la diffusione informale delle prove di stampa delle tavole ancora inedite, Banks accoglieva nelle sue case museo di Londra, dapprima in New Burlington Street e poi al 32 di Soho Square, eruditi e studiosi di passaggio, appassionati e esploratori scientifici in cerca di appoggio e di lettere di presentazione. Come in una sorta di istituzione aperta, lì avvenivano incontri e si poteva accedere alle sue raccolte. Esposte in stile museale e divise per stanze: la sala d’armi, quella degli abiti e degli addobbi delle popolazioni indigene, gli erbari, le sale degli animali, rettili, anfibi, e il gabinetto con l’amplissima serie di disegni di storia naturale, accuratamente descritti.
Tutto ciò mentre nel paese si andava trasversalmente diffondendo, ben oltre la cerchia ristretta di specialisti e collezionisti aristocratici, una sorta di passione nazionale per la botanica e il giardinaggio. Dalla pubblicazione di opuscoli e almanacchi a buon mercato a riviste dedicate di taglio divulgativo, dal propagarsi di motivi floreali negli abiti e nell’arredamento, al successo fin popolare del poemetto che il nonno di Darwin, Erasmus, intitola a Gli amori delle piante (ispirandosi al sistema di classificazione sessuale linneiana), mentre traduce dal latino, proprio dedicandolo a Banks, il testo fondativo di Linneo.
Resta, al di là delle ragioni dell’abbandono dell’originario progetto editoriale, la qualità rara delle tavole realizzate per il Florilegium che ne fanno davvero un’opera scientifica di «arte botanica». Perché se Banks insisteva sulla necessità di incidere ogni dettaglio per restituire un’informazione puntuale, fondamentali furono la capacità e il talento di Sydney Parkinson, fattosi presto egli stesso botanico sul campo, di condividere con Banks quell’esigenza di associare attitudine analitica e valenza conoscitiva del saper cogliere, forte della prova dei sensi, e mostrare, e trasmettere, la meraviglia per la varietà.
Non a caso, tra i libri portati con sé in cabina sull’«Endeavour», assieme a diversi classici, Parkinson custodiva L’analisi della bellezza di William Hogarth.
Joseph Banks Florilegium Tesori botanici dal primo viaggio di Cook, Einaudi, pp. 320, € 90.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica VII, 50, Supplemento de Il Manifesto del 24 dicembre 2017