Seminascosta tra aletta e risguardo di copertina, una mappa piegata in quattro ci aiuta a orientarci tra le pagine del nuovo testo di Tiziano Fratus, di mestiere “alberografo”. È un disegno della penisola con schizzata su, con un tratto amichevole, da sussidiario, la dislocazione dei suoi principali grandi alberi. Perché L’Italia è un bosco – come recita in iperbole il titolo del volume (sottotitolo, Storie di grandi alberi con radici e qualche fronda, Laterza, pp. 193, € 16.00). Figurando con quest’immagine l’auspicio di una diffusa presa di consapevolezza del valore monumentale dei suoi patriarchi vegetali.
Sono presenze preziose quelle che incontriamo condotti per mano da Fratus, inoltrandoci per i più sperduti sentieri come negli angoli inattesi dei parchi o nelle ville e negli orti botanici delle nostre città.
La coppia di pini dell’Alevé in alta Val Varaita; l’esemplare dal tronco a campana rovesciata, quindici metri alla base, stimato di 600 anni, nel Parco dei castagni secolari in Emilia Romagna; i tre olivastri di Luras, uno dei quali è l’albero più antico d’Italia, 3.000 anni, mentre il più giovane del gruppo ne ha solo 500; i lecci della foresta demaniale di Montes, sopra Orgosolo, la più antica e estesa foresta primaria d’Europa, con molti individui di 600 anni. E ancora, gli esemplari delle specie esotiche via via adottate anche qui da noi, dal Ficus macrophylla australiano di Piazza Marina, a Palermo, messo a dimora nel 1863 con le radici aeree che toccando terra si fanno colonna; alle molte sequoie secolari: le più alte nel parco della Burcina a Pollone presso Biella, piantate nel 1848 per celebrare lo Statuto Albertino; le molte radunate nella neogotica, semiabbandonata Villa Sammezzano, a sud di Firenze.
E via così, oltre la vertigine della lista, Fratus in un’esplorazione racconto del paesaggio che di pagina in pagina ci familiarizza con l’esperanto a passo doppio di quella nomenclatura binomia in litania (Quercus robur, Cupressus sempervirens, Larix decidua, Abies alba, …) che si declina però anche in onomatopee e sonorità vernacolari (in sardo Ilixi il leccio, Suergiu la sughera), fino a farci partecipi dell’irriducibile fisionomia di singoli esemplari, dei loro soprannomi (il Natta, il Muschiato, il Bello della Sila, Musone, Sa Reina, …), di singolari esperienze per catturarne l’essenza, la comprensione, la memoria. Educando lo sguardo e la mente a cogliere geometrie raggianti di rami che variamente s’impalcano sui tronchi in un disegno vivo di snodi e spirali, tessiture della corteccia, costolonature, che continuamente si riconfigura in architetture arboree in movimento intorno a noi; applicandoci a cogliere il contrasto tra il “verde acquamarina delle lunghe foglie squamiformi pendenti del Cipresso dell’Himalaya e il verde glauco, azzurrato che in estate produce riflessi violacei del Cipresso del Kashmir”.
Un esercizio di cartografia forestale che cuce itinerari, citazioni, ripercorre testi, raccorda e rilancia suggerimenti e esperienze di una sensibilità collettiva che si dispiega sul territorio in tanti rivoli, in una mappa insomma di quest’Italia ch’è effettivamente un bosco. Mappa da annotare, da integrare ciascuno con le proprie personali riserve e predilezioni. Per tutto quel fascicolato ramificarsi di memorie, conoscenze, esperienze estetiche, emozioni che i nostri grandi alberi antichi ci trasferiscono dal passato dei luoghi e delle vicende dove affondano le loro radici, proiettandole oltre l’imperante pervasiva tirannide dell’immediato presente.
Tiziano Fratus, L’Italia è un bosco. Storie di grandi alberi con radici e qualche fronda, Laterza, pp. 193, € 16.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica IV, 44, Supplemento de Il Manifesto del 9 novembre 2014