Sono state spesso e variamente indagate le molteplici relazioni che nel mondo dell’arte, dalla letteratura, alla pittura, al
cinema, vedono il giardino come perno di un gioco di mutue rifrazioni, ora fonte di ispirazione – diretta o indiretta –, ora momento di proiezione dell’immaginario, con ruolo di protagonista, componente scenica, occasione narrativa, sintesi simbolica. Si tratta adesso della funzione dei giardini nella letteratura francese o, come precisa Évelyne Bloch-Dano, autrice di Giardini di carta, di una personale storia letteraria dei giardini nei romanzi di importanti autori francesi che, nel perimetro del sottotitolo, va Da Rousseau a Modiano, passando per Proust, Gide, Colette, Duras … (Add editore, trad. Sara Prencipe, pp. 222, € 16.00). Con il piglio divulgativo della giornalista che utilizza il genere biografico come grimaldello di indagine sociale del mondo letterario (precedenti studi sulle case degli scrittori, biografie di George Sand, Flora Tristan ma anche di Madame Zola e della madre di Proust) e con il pallino “vegetale” (sua anche La favolosa storia dei legumi scritta nell’ambito dell’Università popolare del gusto di Argentan), Bloch-Dano premette però alla sua trattazione un excursus a tutto campo (quindi dalle origini) sulla storia e l’arte dei giardini (quindi non solo quella francese). Che per un terzo del volume ne ripercorre la scansione classica per grandi capitoli – e talvolta per luoghi comuni – e, pur nella consapevolezza degli slittamenti di codici e coordinate, ci introduce al tema del rilievo della testimonianza costituita dai giardini di carta della creazione letteraria.
In diversi casi la proiezione in scrittura del giardino deriva da una reinvenzione della fisionomia effettiva dei giardini reali di molti dei nostri autori, rintracciati dalla Bloch-Dano nelle memorie autobiografiche e seguiti poi nella loro trasfigurazione. Giardini dell’infanzia o delle vacanze, magari perduti, ricordati e mitizzati, o praticati invece nelle loro quotidiane attività di accudimento da quegli autori che se ne fanno giardinieri, spesso sottraendo tempo alla scrittura, come confessa Gide.
Che sia il roussoiano giardino segreto di Giulia o la nuova Eloisa, frutto nella sua incantata spontaneità dell’ingegno discreto dell’uomo, o il recuperato giardino di George Sand a Nohant (dipinto poi da Eugène Delacroix) che apre al paesaggio in una dimensione panteista; quello vitalistico di rue Plumet nei Miserabili di Hugo o il Paradou della sensualità dell’infanzia provenzale di Zola… che sia, con Gide, prima la costrizione dello spazio solitario del giardino de La porta stretta e poi la natura solare di quelli de L’immoralista, e per la Duras la proiezione mentale dell’impraticabile dei viali del parco del Rapimento di Lol V. Stein o dell’esercizio del potere coloniale dei lussureggianti giardini in Asia, o ancora, che a dominare sia l’ombra sospesa della vegetazione urbana dei paesaggi minerali di Patrick Modiano, … volta a volta seguiamo il dispositivo narrativo del giardino farsi spazio scenico e metafora di senso, meccanismo di innesco e elemento rivelatore, luogo dell’iniziazione, all’amore, alla conoscenza, occasione di utopie che incarnano ideali di vita, indicatore del passare del tempo e dei sentimenti.
Fino a farsi sintesi della pluralità di significati, metafora stessa del lavoro dello scrittore.
Évelyne Bloch-Dano, Giardini di carta. Da Rousseau a Modiano, Add editore, trad. Sara Prencipe, pp. 222, € 16.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica VI, 17, Supplemento de Il Manifesto del 24 aprile 2016