Una qualsivoglia ricognizione tra i giardini delle ville venete sconta inevitabilmente l’aleatorietà di una definizione dove molteplici e variegati episodi finiscono per convergere sulla base di una comunanza fondata certo, piuttosto che su un’appartenenza territoriale, su un apparentamento storiografico-culturale – il riferirsi con un termine ombrello a una tipologia fattasi fin modello. E che spesso, con il trascorrere dei secoli, a partire da quel modello, incorpora stratificazioni di interventi, variazioni e ritorni del gusto.
Tra i numerosi giardini sparsi tra Verona, Padova, l’alto Vicentino, la Marca trevigiana e la Riviera del Brenta – formali, seicenteschi, quelli di “casa di villa”, esito dello studio dell’antico in architettura, le rivisitazioni neoclassiche, quelli ospiti di singolari presenze lapidee e collezioni botaniche, le varianti di ritorno del parco all’inglese – Camilla Zanarotti ne sceglie 26 nel suo I giardini delle ville venete (Silvana Editoriale, pp.192, € 35), presentandoli in schede essenziali dove per ciascuno tratteggia l’origine e la vicenda dell’insediamento, le committenze, gli interventi di progettisti e realizzatori e, ripercorrendone la stratigrafia spesso fino ai recenti restauri, ne enuclea volta a volta le specificità e gli elementi salienti dal punto di vista compositivo, degli arredi, botanico.
In un’edizione bilingue che certo avrebbe beneficiato delle informazioni pratiche per la visita (recapiti e indirizzi mail, disponibilità di aperture), i giardini vengono messi in pagina con il ricchissimo concorso di immagini di un noto “fotografo di giardini”, Dario Fusaro. Qui tuttavia il ruolo dell’immagine fotografica, che pure fa la piacevolezza del volume nel senso di saper con efficacia restituire un’atmosfera, predilige appunto la sola dimensione evocativa tralasciando quella descrittiva e documentaria e anche ogni didascalia di raccordo con i testi del regesto dei giardini delle ville, l’insistenza su particolari, dettagli significativi, scorci caratterizzanti che restano assoluti non restituisce consapevolezza al lettore men che avveduto, rinunciando, se non alla missione impossibile, all’aspirazione del dar conto fotografico del percorso di visita in absentia. Certo, ben altro è qui l’obiettivo rispetto a operazioni che pure nello stesso ambito tematico territoriale occorre ricordare, come la realizzazione del meritorio Atlante della statuaria veneta da giardino, consultabile tramite i siti dei promotori Fondazione Giorgio Cini e Istituto regionale per le ville venete.
I giardini veneti che scorrono dinanzi agli occhi sulle pagine del volume in un campionario di soluzioni, ampliamenti, trasformazioni, rifacimenti, son tutti testimonianze diverse ma convergenti di quello speciale rapporto tra arte e natura, tra costruito e paesaggio, in sensibile, accorta integrazione. Un’attenzione per la natura, più o meno addomesticata, per l’intorno delle colline, delle campagne di terraferma, delle proprietà amministrate al ritmo del sistema delle acque, per il “vegetale come tessuto di raccordo”, che dal disegno dei giardini nelle ville venete per molti versi si riverbererà come ispirazione – via Palladio – nel giardino paesaggistico inglese. Da dove tornerà poi a ibridarli, spesso con più felice esito di sintesi nella sovrascrittura rispetto a giardini formali nati altrove architettonicamente disegnati.
Camilla Zanarotti, I giardini delle ville venete, foto di Dario Fusaro, Silvana Editoriale, pp.192, € 35, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica V, 28, Supplemento de Il Manifesto del 12 luglio 2015