È un difficile ribaltamento di prospettiva quello cui vorrebbe indurci l’instancabile pedagogia a tutto campo del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, che di recente si è proposto perfino nelle vesti di cantastorie del mondo osservato e vissuto dal punto di vista delle piante sul palcoscenico di un insolito spettacolo di letture, immagini e musica intitolato Botanica. L’universo vegetale tra scienza e musica (con il collettivo musicale dei Deproducers, coprodotto da Aboca), in un tour che ha preso avvio in primavera all’Auditorium di Roma e sta riscuotendo un significativo interesse di pubblico (il prossimo spettacolo, il 22 luglio a Firenze in piazza della Santissima Annunziata, www.labuonapianta.it).
Da tempo Mancuso ci invita a prender consapevolezza di come oltre l’80% della vita che si dispiega sulla terra sia costituito da piante e di come tutto il resto ne dipenda totalmente, noi per primi, per l’aria che respiriamo, il cibo che ci nutre, le molecole con le quali ci curiamo.
È un’evidenza che traversiamo senza avvedercene, riducendo a paesaggio di sfondo – al più esteticamente gradevole, ispiratore di forme e suggestioni, colonne di templi, decorazioni di acanti e papiri … – quanto non riusciamo ad assimilare al modello di funzionamento animale. L’unica forma di vita che, sapendo vedere soltanto ciò che ci somiglia, siamo disposti a considerare complessa e intelligente, e quindi, estensivamente, da replicare.
Mentre uno sguardo che provi ad assumere la radicale alterità delle vincenti strategie evolutive individuate da quegli ingegnosi organismi pionieri che sono le piante ci sorprenderà non solo ribaltando convinzioni e luoghi comuni, ma anche additandoci modelli e sperimentate soluzioni.
Dalle implicazioni di un diverso tipo di intelligenza decentrata delle funzioni in assenza di organi deputati come centri di comando a quelle di un’architettura modulare, cooperativa, distribuita per colonie di individui; dalle ispirazioni in architettura della fillotassi, all’importanza delle piante per la vita dell’uomo, oltre la terra, nel cosmo. Rimettendo in causa capacità di visione implicata dall’arte della mimesi, meccanismi di memorizzazione, regia delle strategie di condizionamento nella coevoluzione, l’idea stessa di immobilità – a partire dalle prime applicazioni scientifiche del time lapse nel 1896 – a vantaggio della considerazione di un infinitamente lento, di una temporalità altra.
Nella consapevolezza assieme di un’irriducibile parentela evolutiva e di un’imprescindibile implicazione ecologica nella trama di relazioni con il vivente, con il suo Plant revolution. Le piante hanno già inventato il nostro futuro, Giunti, pp. 272, € 20.00, Stefano Mancuso mette ancora in prospettiva le più recenti indagini di frontiera della ricerca degli specialisti e in questo produttivo gioco di straniamento suggerisce molti buoni motivi – e diverse indicazioni pratiche – per prendere spunto dal mondo vegetale, in un approccio bioispirato che sappia guardare con una nuova attenzione alle soluzioni escogitate da queste così rilevanti, sagaci compagne di strada, sorelle maggiori in natura.
Stefano Mancuso, Plant revolution. Le piante hanno già inventato il nostro futuro, Giunti, pp. 272, € 20.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica VII, 27, Supplemento de Il Manifesto del 20 luglio 2017