Oltre il giardino della memoria delle estati d’infanzia trascorse a Saint Ives in Cornovaglia, ce n’è uno, compagno di vita, che dal 1919 si evolve e scandisce in parallelo pressoché tutte le tappe della vicenda umana e della biografia letteraria di Virginia Woolf. È il giardino di Monk’s House, a Rodmell, nel Sussex, acquistata all’asta con il marito Leonard come rifugio per i fine settimana della coppia in fuga dagli impegni londinesi di Bloomsbury, rifugio e prolungamento delle molte attività e impegni, delle scritture giornalistiche e letterarie, dell’impresa editoriale della Hogarth Press…
Un giardino che, di là dal muro, oltre la casa lunga e stretta in fondo al paese, casa essenziale, “dalle tante porte”, si sviluppa in una serie di angoli e ambienti che si andranno precisando negli anni, collegati da un dedalo di vialetti mattonati. È un giardino, specialmente agli inizi, di piante comuni, che “abbaglia lo sguardo con i rossi, i rosa, i viola, i malva, i garofani a grandi mazzi, le rose accese come lampade”. Fonte di diletto e ispirazione, di volta in volta, con il trascorrere delle primavere, sarà il luogo dove “meleggiare” – cogliere mele con Leonard –, raccogliere il miele e fare composte, giocare a bocce, ricevere gli amici ma non dispiacersi poi quando se ne vanno; sarà anche il rifugio per ritemprarsi quando il “buio armadio della malattia” disserra i suoi orrori, e dove poi apprezzare “regolarità e ordine, e il giardino e la stanza di sera e la musica e le mie passeggiate e la facilità e l’interesse che provo scrivendo”. Il luogo dove Virginia scrive e rivede nel suo studiolo nel verde molte delle sue opere, le corrispondenze, i diari; fino all’ultimo giorno, annotando prima di avviarsi verso il vicino fiume dove si annegherà: “Leonard si occupa dei rododendri”.
Un volume di Caroline Zoob narra ora di questo procedere indentato di accadimenti vissuti e comporsi negli anni della fisionomia di questo luogo “che regala stralci di una solitudine divina”, Il giardino di Virginia Woolf. La storia del giardino di Monk’s House, L’Ippocampo, pp. 192, € 29.90. Giardino del quale in realtà l’artefice è Leonard, ben oltre la morte di Virginia e fino al 1969, assieme con Trekkie Ritchie, con cui condividerà anche la passione botanica e l’amore per fiori esotici e i colori vivaci. Poi la casa e il giardino finiranno all’Università del Sussex e, dopo un periodo di abbandono, passando nel 1980 per un restauro senza pretese filologiche, alla gestione del National Trust – sempre a rischio di una normalizzatrice patina uniformante –, associazione caritativa di volontari, con la formula dell’affido-manutenzione in cambio dell’apertura al pubblico. E per dieci anni affidataria, curatrice anche del giardino e della memoria del luogo è stata di recente proprio l’autrice del volume Caroline Zoob.
Sulla scorta dei diari e delle lettere della coppia, del quaderno di acquisti di piante di Leonard, della documentazione fotografica d’archivio in bianco e nero in dialogo con le evocative foto d’oggi di Caroline Arber, si racconta delle modifiche negli anni della casa e giardino, dei pochi mezzi all’inizio e dell’assenza di comodità fino al 1926, dei soldi via via investiti con il successo di vendite di Orlando, dell’iniziale inesperienza giardiniera anche da parte di Leonard e delle richieste di consigli sulle piante, degli acquisti di nuove porzioni di terra e della realizzazione di nuovi spazi – la rimessa che sarebbe diventata il primo studiolo di Virginia, col pomario nel sottotetto, la terrazza delle mole con gli orci di terracotta e poi la costruzione del nuovo studio, al piano superiore della casa, dove ritirarsi a scrivere quando nella rimessa faceva troppo freddo.
E ancora, a contrappunto, le lunghe fasi di ritiro da Londra durante il riacutizzarsi della malattia, ma anche il risarcimento con l’annuncio del successo della fatica di scrittura de Le onde e la realizzazione dello stagno artificiale tondeggiante, ispirato a quelli dei dintorni delle colline del Sussex, o del Giardino all’italiana, dopo il viaggio in Italia. Il Giardino del fico e il nuovo studio di scrittura di Virginia nell’angolo appartato del frutteto da cui godersi il panorama verso le marcite oltre il filtro dei due olmi dai rami intrecciati, da loro stessi soprannominati Leonard e Virginia. Il digradare de Il campo di Pound Croft, poi definito la Terrazza, la generosità del prediletto frutteto e la notizia della morte del nipote nella guerra di Spagna; e ancora la costruzione del Giardino recintato e poi di quello giapponese dietro il muro del granaio; la passeggiata fiorita lungo il vialetto mattonato e l’annuncio della dichiarazione di guerra, la durezza medievale dell’inverno, il razionamento e la vasca delle ninfee del Giardino della peschiera che compare in Tra un atto e l’altro .
Su tutto, dal punto di vista del giardino – di là dagli esiti delle indagini che scandagliano l’uso delle piante nelle opere, nei diari e corrispondenze di Virginia, oltre 90 (Elisa Kay Sparks), e di là dall’influsso mancato dei giardinieri che la attorniavano, da Leonard, a Violet Dickinson, a Vita Sackville-West –, la consapevolezza, autoironica, delle proprie competenze in materia: “dovresti venire a vedere il nostro giardino, che è la passione prediletta di Leonard. Come potrai ben immaginare, io non alzo mai un dito, ma passeggio all’ombra degli alberi, senza riuscire a ricordarne i nomi.”
Caroline Zoob, Il giardino di Virginia Woolf. La storia del giardino di Monk’s House, foto di Caroline Arber, L’Ippocampo, pp. 192, € 29.90,recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica V, 11, Supplemento de Il Manifesto del 15 marzo 2015