Sono infinite le nomenclature con cui cerchiamo di dare identità alle piante che ci circondano – varianti regionali, onomatopeiche, funzionali –, e d’altro canto da sempre abbiamo cercato di ricondurre entro classificazioni maneggiabili la loro incredibile, silenziosa e pervasiva varietà, raggruppandone i soggetti in livelli via via più ampi di organizzazione (genere, famiglia, ordine, classe). Lo si è fatto ricercando ordinamenti per assonanze e prossimità, in un processo ininterrotto che ancora dura. Variando culturalmente, e quindi scientificamente, i criteri. A partire da Teofrasto, dalla ricerca sul filo dell’analogia di caratteristiche fisiche e morfologiche, all’anatomia vegetale rilevata poi per il tramite del microscopio, fino alla grande sistematizzazione operata dal linneiano sistema di classificazione binomiale. In un procedere di revisioni e risistemazioni che, con l’avvento delle tecnologie di sequenziamento del DNA, a partire dagli anni ’80, hanno incluso, oltre la morfologia, l’analisi delle informazioni molecolari nel tentativo di inseguire le dinamiche delle relazioni evolutive tra le piante (anche perché ogni anno vengono di media identificate ulteriori 2.000 specie a noi sconosciute, mentre altre se ne estinguono, magari ancor prima che le si possa scoprire e descrivere).
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