Università della Svizzera italiana, Mendrisio – 23 marzo 2018 – Salus in Horto – Sul tema della salute del paesaggio

Salus in Horto – Sul tema della salute del paesaggio

Salus in horto. Salute/Salvezza. Oltre il gioco di slittamenti di senso tra specifico terapeutico, cui pure cercherò di guardare, e valenza ideale, mi soffermerò piuttosto su questa seconda più ampia dimensione.
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Centrale è la questione del cosa è salutare, ed è suggerita dal semiologo Paolo Fabbri che individua almeno due modi possibili di essere salvi[1]. Validi direi anche in giardino.
C’è il modo che ci preserva dalle perturbazioni esterne a difesa della nostra integrità.
Essere salvi significa quindi restare assoluti, lontano dalle cure, nel senso delle preoccupazioni.
Diversamente, c’è il modo secondo il quale la salute è il risultato sempre in divenire di un processo aperto alla cura.
Immagino vi ricordi la storia del paradiso – più o meno perduto. Leggi tutto “Università della Svizzera italiana, Mendrisio – 23 marzo 2018 – Salus in Horto – Sul tema della salute del paesaggio”

Coltivare paesaggi poetici. Latini, Matteini

Il Poligrafo_manuale-di-coltivazione-pratica-e-poetica_Andrea DI SALVO_VìrideSono davvero significative nei risultati pratici le implicazioni teorico metodologiche dell’aver voluto intitolare questo testo, e il lavoro di ricerca che lo presuppone, al genere del Manuale : “dicesi per libro che ristrettamente contenga per guida ed istruzione dei pratici i precetti essenziali di qualche dottrina o arte, quasi a significare che se ne dee far uso frequente e averlo spesso a mano”. In  questo caso, con sottotitolo esplicativo Per la cura dei luoghi storici e archeologici nel Mediterraneo, si tratta però di un Manuale di coltivazione pratica e poetica (Il Poligrafo editore, pp. 312, € 25.00). Leggi tutto “Coltivare paesaggi poetici. Latini, Matteini”

Umberto Pasti. Peripezie botaniche in Marocco

Umberto Pasti_Bompiani_Andrea_Di_Salvo_Vìride_Il_Manifesto.jpgL’incantamento per un luogo può passare per un’epifania. Un istantaneo senso di reciproca appartenenza tanto più avvolgente quando quel luogo lo si incontra distante da noi, estraneo fin lì al nostro orizzonte. Può accadere allora, come a Umberto Pasti venti anni fa, dinanzi a una pietraia riarsa sulle colline della costa atlantica del vecchio Marocco spagnolo, a due giorni di cammino da Tangeri, là dove sopravvivono soltanto poche piante indigeste alle capre, di antivedere come quel posto “sarà” (come è sempre stato): el gharsa, il giardino di Rohuna, villaggio di cinquanta case da cui contemplare la vallata e il mare. Può accadergli perciò di “diventare giardino”. 

“Il mio corpo è diventato questo posto, questo posto è sempre stato un giardino”. Perduto in paradiso è il romanzo di questo suo farsi centro del mondo, della realizzazione di un giardino remoto dove negli anni ha raccolto molte delle specie selvatiche del Nord del Marocco, mettendole in salvo fino a farne meta di botanici, che lo scrittore Umberto Pasti intesse nell’ultimo suo libro, Perduto in paradiso (pp. 284, Bompiani, € 18). Dilettante dai molti interessi, botanico autodidatta ossessionato dagli iris e perlustratore instancabile dei sentieri delle fioriture del Marocco, Pasti orchestra diversità e protagonisti in una vivida, coinvolgente eppure delicata tessitura.
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Thor Hanson. La centralità dei semi

Hanson_semi_Il Saggiatore_Andrea_DI_SALVO_Vìride_Il ManifestoNon sembri riduttivo, ma è pur sempre possibile guardare alla cacciata dal paradiso terrestre narrata nella Genesi, anche come a una delle più grandi storie di dispersione di semi di tutti i tempi. Certo, in questo caso si tratta del punto di vista del biologo della conservazione Thor Hanson. A raccontare una coevoluzione che vede i semi, tra i principali attori della vita sulla terra emersa, modellarci come specie dopo aver trasformato il pianeta. È al tempo stesso metafora della fuoriuscita oltre i limiti, di un giardino paradisiaco, fin lì sempre uguale a se stesso, tanto degli umani resi responsabili e attivi dall’aspirazione all’altrimenti, che dei semi della mela – o della, botanicamente più verosimile, melagrana – che di quella tentazione fu innesco.
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Il vinopaesaggio dei vignai da Duline

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Abitare il paesaggio passa inevitabilmente per una pratica attiva che senza sosta lo reinventa. Reinterpretando i milleambiti, le fisionomie irriducibilmente cangianti di quella dimensione esperienziale e immaginativa assieme che stiamo imparando a intendere come “ecosistema in artificio”. Condiviso, in quanto moltitudine transgenerazionale, con la moltitudine dei viventi, e con quella del vivente intessuto da elementi nutritivi, clima, geologie.
Una scrittura di azioni, che, sulla pelle del pianeta, insegue l’immediatezza di un pensiero che si invera facendo, e che è fatto di osservazione, intuizioni sensoriali, sperimentazioni e rifunzionalizzazioni. Tanto più nel caso di quell’orbicolare processo-prodotto culturale che è la “coltivazione” del vino, quando riesce a raccontare le mille tracce e armonie del paesaggio detto che in sé racchiude.
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