Le molte fisionomie del giardino reale di Torino

Il succedersi di progetti e interventi che lungo l’arco di quattro secoli ripetutamente disegnano e reinventano la fisionomia del giardino del Palazzo reale di Torino stratifica e riverbera l’eco delle diverse tappe della più generale evoluzione del gusto nella storia del giardino. Come in un palinsesto da leggersi in controluce. Dall’impianto all’italiana con cui nasce, insieme ai palazzi dell’antica residenza dei Savoia, quando nel 1563 Torino diviene capitale dello Stato sabaudo, al gusto francese per i giardini introdotto a corte da Cristina di Borbone, fino al ridisegno complessivo firmato dall’oramai anziano maestro assoluto André Le Nôtre, e messo in atto intorno al 1697 dal suo collaboratore Antoine de Marne.

Su quell’impianto spaziale che sopravvivrà a lungo si innesteranno raffinate integrazioni barocche in termini di sculture, arredi, fontane, fino alla fase napoleonica e “imperiale” del giardino museo, poi ai progetti di revisione in stile inglese di Pelagio Palagi per Carlo Alberto e, in un eclettismo che tiene assieme ispirazione paesaggistica e revisione neobarocca, fino al giardino formale francese di fine anni 80 ad opera di Marcellino Roda nonché ai vagheggiamenti di un giardino liberty per la principessa Maria Letizia Bonaparte.

Della complessità del quadro di innesti di modelli, rivoluzioni tecniche, scambi culturali, come della circolazione di specialisti, amatori, piante nelle diverse fasi storiche della vita del giardino rende ora misura e proporzione il volume a cura di Paolo Cornaglia Il giardino del Palazzo Reale di Torino (1563-1915), in collaborazione con i Musei reali di Torino (Olschki, pp.236, € 60.00).

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von Pückler-Muskau. Il principe parcomane

Eccentrico e provocatore, aristocratico frequentatore di salotti intellettuali, sodale di Heinrich Heine, incoraggiato da Goethe a seguire la sua passione per la natura, il principe “parcomane” Hermann von Pückler-Muskau è soprattutto famoso per lo stile raffinato e la capacità creativa che – da autodidatta – dispiega nella realizzazione di quelli che restano i migliori esempi di parco paesaggistico di ispirazione inglese nella Germania di primo Ottocento. Illustrati poi nel suo fondamentale testo, Giardino e paesaggio, meritoriamente ora ripubblicato da Elliot, pp. 220, € 17,50.

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Alberi. Miti e figure del sacro

Nel repertorio di emblemi, simbologie, credenze per il cui tramite abbiamo a lungo dato corpo e figura al nostro anelito di comprendere e misurare il mondo, l’albero ha da sempre avuto e a lungo mantenuto un posto centrale e un ruolo di primo piano. Asse del mondo e tramite tra universi, la trasversalità di questa presenza risulta variamente declinata nelle tradizioni e nei miti dei più differenti ambiti culturali, aree geografiche e fase storiche, fin dentro la modernità. A testimonianza di un coesistere di relazioni, quelle che legano noi umani e gli alberi, estremamente intime, in forza della loro pervasiva, incombente presenza mediatrice, eppure assieme del tutto irriducibili, vista la dismisura, per noi incommensurabile, riguardo queste creature, tra le più eclatanti manifestazioni del vivente.

Fin dal titolo del volume di Anna Maria Sciacca, l’associazione Albero e sacro. Dalla mitologia alla tradizione cristiana racconta la tensione di questo coesistere, ripercorrendo le molte figure – arboree – di questa relazione (Castelvecchi, pp. 162, € 17.50).

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Apparizioni botaniche. All’insegna del selvatico rivisitato

Se raramente si riesce davvero a raccontare un giardino a partire dal progetto che ne è stato all’origine, accade al vice versa che sia il giardino stesso a dirci molto del suo creatore. E del modo in cui intende il lavoro di paesaggista.
Ciò, specialmente se quel giardino nasce come luogo di ispirazione privata, giardino proprio, diverso da tutti quelli che altrove si progetteranno per altri. È il caso di Piuca, giardino laboratorio di sperimentazione di una personale botanica per artisti, come la definisce Antonio Perazzi, illustrandolo nel suo Il paradiso è un giardino selvatico. Storie ed esperimenti di botanica per artisti, UTET, pp. 304, € 24.

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La forza sotterranea del paesaggio

Architetti, agronomi, geofisici e urbanisti critici a convegno presso la Fondazione Benetton
Con un’intervista agli artisti Andrea Caretto | Raffaella Spagna

Il 20 e il 21 febbraio 2020 a Treviso, presso la Fondazione Benetton, la sedicesima edizione delle Giornate internazionali di studio sul paesaggio vedrà confrontarsi specialisti e operatori sul tema Suolo come paesaggio. Nature, attraversamenti e immersioni, nuove topografie.

Acceleratore di Particelle Catastali, 2008, installazione e azione pubblica per Paesaggio Zero, I Biennale dell’Osservatorio del Paesaggio dei Parchi del Po e della Collina torinese.
Foto di Stefano Serra

Dove l’attenzione è quindi posta proprio sul suolo “come” paesaggio. Nelle parole di Luigi Latini, presidente e animatore del comitato scientifico della Fondazione assieme a Simonetta Zanon, il suolo viene assunto come “tessuto connettivo, nutrimento e processo vitale che accompagna la nostra esperienza di vita, dimensione fisica ed estetica nella quale risiede la sostanza dei luoghi abitati e il senso della nostra appartenenza al paesaggio”.

Introdotte dal direttore Marco Tamaro e arricchite da alcune riflessioni intese a declinare il tema anche tramite esperienze artistiche o uno sguardo filosofico, le relazioni di diversi specialisti esploreranno le Nature del suolo, estendendo l’indagine dalla complessità ecologica di questa infrastruttura di regolazione ambientale fino alle implicazioni di natura scientifica, sociale, culturale, estetica (dall’urbanista Rosario Pavia ai suoli extra terresti di Giacomo Certini).

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Pedagogie del paesaggio nascosto

Tra gli antidoti che ci son dati di fronte a una globalizzazione che procede omologando e per converso frammentando e sradicando singolarità e territori e che nella predominante dimensione produttivo consumistica, ci vede assecondare lo status quo, relegati nel ruolo di consumatori, osservatori passivi, c’è la consapevolezza del rilievo operativo del paesaggio, sistema vivente di relazioni sempre in divenire tra uomo ed elementi naturali, strumento di lettura dell’insieme, occasione aggregante, opportunità del convergere di pensiero e azione, di costruzione sociale che mai può essere neutrale.

Una consapevolezza non scontata, anzi tutta da enucleare e alimentare come argomenta Eugenio Pandolfini, nel suo Il paesaggio nascosto. Quale comunicazione nei luoghi della complessità, Olschki, pp. 291, € 22.

Qui, a fronte della messa in discussione della esclusiva centralità dell’uomo nella relazione natura cultura, si procede a un’articolata rilettura delle riflessioni sui temi del paesaggio, informata anche di una serie di ulteriori, convergenti saperi e approcci disciplinari, dalla sociologia all’etica, all’ecologia, all’economia.

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Mongera. Giardino “innaturale”

Preso in prestito dal centauro Chirone nella pasoliniana Medea, il titolo del volumetto di Daniele Mongera, Niente di naturale, rinvia nella sua interezza a “non c’è niente di naturale nella natura”, a significare qui l’irriducibile, inestricabile tensione di afflati, del giardiniere, a cui con la natura spetterebbe tenere il filo del dialogo, come del paesaggista, che, nell’artificio, creativamente resta a distanza, votato alla meraviglia dell’inutile (Officina Naturalis Editore, pp. 124, € 12,00).

Animatore d’imprese come Maestri di giardino, dove trasferire in scrittura sensibilità, saperi e saper fare, nonché ora di questa Officina Naturalis con già diversi titoli all’attivo, Mongera inanella una serie di testi che, con un’attenzione al guscio etimologico delle questioni capace assieme di plastiche, immaginifiche invenzioni, illuminano snodi, episodi, personalità della recente storia del giardino con la competenza dotta delle vicende che pochi compartecipi possiedono.

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Mazzolai. Robot ispirati dalle piante

Nell’attenta osservazione che da sempre destiniamo all’infinita varietà di soluzioni che la natura mette in atto per adattare la vita ai più diversi contesti c’è uno sguardo nuovo che da qualche tempo riserviamo al vivente, incrinando l’altrimenti inossidabile assunto antropocentrico che ci vuole misura di tutto. Uno sguardo che procede per differenza e ha per soggetto privilegiato quel mondo vegetale che nella sua irriducibile alterità ha basato il suo successo evolutivo su fondamenti biologici totalmente diversi rispetto a quelli del mondo animale.

Un ulteriore punto di vista si produce poi, andando oltre il gioco dell’analogia, che ci vede guardare volta a volta alla capacità dinamica di volo orizzontale di alcuni semi con le estremità flesse verso l’alto a suggerirci esempi per velivoli come il monoplano, o alle proprietà idrofobiche del fiore del loto da replicare nei più diversi ambiti. Se, in una logica imitativa, si intende comprendere il funzionamento dei meccanismi del vivente per trasporli in sistemi non biologici. Se si osservano e studiano cioè gli esseri viventi e le loro interazioni per progettare e realizzare macchine e sistemi bioispirati. In particolare robot – come già quelli animaloidi e umanoidi – esemplati sui meccanismi di funzionamento delle piante.

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La nazione delle piante. Libri esplorazione, alla Pizzetti maniera

Partendo dal presupposto, mai abbastanza ribadito, della nostra profonda disattenzione e ignoranza per il mondo vegetale, per l’alterità di quella presenza invece davvero dominante sul pianeta che sola consente che su di esso si dispieghi la vita – anche la nostra –, s’avvia ora, per gli Editori Laterza, con intento risarcitorio, l’impresa di una serie di volumetti dedicati a incentivare la conoscenza dei protagonisti de La Nazione delle Piante.

Una serie, diretta dal neurobiologo Stefano Mancuso, intesa a familiarizzarci con la varietà dei soggetti e delle popolazioni di quella nazione vegetale, illustrandone profili, parentele, forme organizzative, funzionamenti e modalità di comunicazione, come pure ripercorrendo le relazioni che con quelle piante noi animali umani intratteniamo, negli usi e negli immaginari.

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Fiona Stafford. Alberi radiofonici … salvacondotto

Negli scaffali della serie ormai ben nutrita di volumi che dalle più diverse prospettive son dedicati agli alberi e a quell’intima e pur sempre incommensurabile relazione che ad essi ci lega va ad aggiungersi ora questo intitolato a La lunghissima vita degli alberi (Hoepli, pp. 298, € 19.90) di Fiona Stafford, studiosa di storia della letteratura, arte e ambiente, nonché docente ad Oxford, ma soprattutto autrice di una serie di successo per BBC Radio 3, dedicata al rilievo e al significato degli alberi.

Ed è con questo andamento radiofonico, a tratti affabulatorio, che l’autrice appronta una sua galleria di profili – diciassette alberi del tutto comuni, dal tasso al ciliegio, dal sorbo all’ulivo, per via di cipresso, quercia, frassino, salice, biancospino, … melo –, muovendo da una tavolozza di citazioni letterarie, considerazioni e ricordi, innescati da oggetti – pigne raccolte, brani di corteccia – e immagini che valgono come salvacondotto di un personale viaggio in andirivieni tra scrivania e alberi di mondi anche diversi, temporalmente, geograficamente.

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