Per quanto una “grande cecità”, una formidabile rimozione, volta a volta esito di occultamento o rifiuto, si dispieghi sull’evidenza di un Antropocene in atto, dell’esser cioè noi umani ormai corresponsabili come agenti geologici dell’incombente rottura dell’equilibrio ambientale del pianeta, pure si assiste a un convergere di consapevolezze e ripensamenti epistemologici da ambiti disciplinari diversi. Verso una cultura del paesaggio che ne prevede progettualmente la cura e la trasformazione assumendo il rilievo di questioni ambientali e istanze sociali.
È il caso della riflessione che da urbanista Rosario Pavia prospetta sul rapporto tra luogo, suolo e forma urbana nel suo Tra suolo e clima. La terra come infrastruttura ambientale, prefazione di Mario Tozzi 2019, pp. 168, € 17.50
Rilevando come – a fronte del diffondersi a livello globale di forti concentrazioni urbane, di una città diffusa come pure della sua rarefazione post fordista, con spazi e suoli inutilizzati, aree di risulta, scarti –, solo di recente, e dopo gli eccessi di un’urbanistica ridotta a normativa e di una architettura spesso in modo autoreferenziale avulsa dal contesto, si vada ritrovando una nuova attenzione agli spazi di mezzo, nella direzione del riuso, del contenimento degli sprechi, del riconnettere, del dare senso e riconciliare, del governo e differenziazione di risorse e interventi.
Insomma della “sostenibilità ambientale di un territorio urbano” (e periurbano) concepito come sistema che si estende dalla piccola scala di prossimità fino alla quella territoriale, ben oltre i confini amministrativi, come paesaggio che, di là da un orientamento estetico, non basta certo conservare e salvaguardare. In questo Antropocene dove il riscaldamento globale ridisegna la geografia del mondo in termini anche di diseguaglianze sociali e nella condizione del rischio ambientale, dove il vertiginoso consumo di risorse e di suolo va assieme agli abbandoni, e ai loro residui inquinanti, alle dismissioni, alle incompiute, emerge la centralità del rapporto inestricabile tra clima e suolo e del ruolo giocato da quest’ultimo come sistema di mitigazione.
Oltre la tradizionale nozione di supporto edificabile, il suolo viene assunto qui nella sua complessità ecologica, come strato di terriccio organico, luogo della fertilità, ma anche deposito di carbonio (dal cui ciclo tutta la vita organica dipende). Come bene comune e però risorsa a rischio. Organismo vivente e infrastruttura di regolazione ambientale in grado di ripristinare un metabolismo urbano, all’incrocio tra produzione e consumo (in particolare) di cibo e gestione dei suoi scarti, nuovi modelli insediativi e di uso della città e del territorio (non ultimi l’agricoltura urbana come elemento di riorganizzazione degli ambiti metropolitani e la pratica inclusiva e di condivisione degli orti urbani come dispositivo di mediazione tra città e campagna).
E se proprio e specialmente la città ha smarrito la relazione con la terra sulla quale insiste – sigillando e impermeabilizzando il suolo che smette così di respirare, pervadendolo di condutture, reti, gallerie – è proprio dalle grandi città, dove la popolazione raggiungerà nel 2030 il 70% di quella mondiale, che si proiettano alcune interessanti sperimentazioni.
Dalle transitions cities al new urbanism, da interventi minuti, distribuiti in una logica molecolare o di intervento in forma di agopuntura, a un’urbanizzazione su scala regionale che vada però a misurarsi con i temi dell’accoglienza, delle diseguaglianze, anche ambientali, nella globalità dei flussi e delle reti che, avviluppando la terra come una seconda pelle, andrebbero ripensate come infrastrutture ambientali dove coevolvano natura e intervento artificiale.
Rosario Pavia, Tra suolo e clima. La terra come infrastruttura ambientale, prefazione di Mario Tozzi 2019, pp. 168, € 17.50, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XI, 15, Supplemento de Il Manifesto del 21 aprile 2019