Nelle nostre città pervase dal cemento, sigillate al suolo dall’asfalto c’è ancora spazio per un uso del giardino e del verde che, almeno nell’approccio, non sia residuale.
Ma necessita – nell’infinito frattempo di sempre rinviate politiche pubbliche volte a recuperare una qualche sostenibilità ambientale sul territorio urbano e con l’occhio attento invece al prodursi qui di variegate risposte dal basso – di un atteggiamento mentale che sia, prima di tutto, esito di un utile esercizio dello sguardo. Saper vedere, immaginare e quindi trovare il verde anche là dove non si è abituati a pensarlo, là dove non ci si aspetta di trovarlo. Oppure, inventarlo. Che è lo stesso. A questo ci invita Emanuele Bortolotti nel suo Il giardino inaspettato (Electa, pp. 215, Є 49).
Sottotitolo immediatamente operativo Trasformare angoli di cemento in spazi verdi. Sulla base soprattutto della sua esperienza professionale, viene proposta dall’autore una rassegna che illustra, oltre a temi più scontati, casi di un autoproclamato paesaggismo “estremo e di frontiera”. E ciò sia perché indaga (tra l’altro) briciole disperse di spazi residuali dell’abitare urbano, suggerendone il ripensamento, il riuso anche straniante, quanto perché metodologicamente assume come una sfida i condizionamenti dell’onnipresente costruito. Situazioni limite dove tuttavia, complice la vitalità della vegetazione, il saper fare tecnico e la specializzazione delle soluzioni consentono, comportano invenzione, appunto, epifania di spazi nuovi perché immaginati e realizzati dove non erano. Cavedi che diventano scenografie di fogliami e acqua con inserti d’artista, pozzi di luce con cascate di piante, garage di abitazioni o centri servizi di imprese che si ricoprono di giardini, affacci di verde dagli open space degli uffici che riportano la vegetazione al centro degli edifici, patio che restituiscono ambientazioni a tema (importante il rapporto anche soltanto visivo con fondali verdi), terrazzi interni che si animano di colonnati d’edera, bocche di lupo trasformate in finestre sul cortile … E accanto ai giardini sui tetti, tetti giardino, facciate qualificate dal verde (come quelle immaginate da Stefano Boeri nel milanese Bosco verticale, dove terrazzi sfalsati consentono lo sviluppo di piante d’alto fusto tra i diversi piani dell’edificio), applicazioni di una serie di sistemi per il verde verticale mutuate dall’originale intuizione di Patrick Blanc. E ancora, episodi di “natura recuperata ai margini dell’abitare”, cortili e corridoi e varchi tra i palazzi come occasioni di socializzazione, fino alle suggestioni del giardino condominiale promiscuo. Con la consapevolezza che il saper fare di questi molti inusuali episodi di valorizzazione, di invenzione molecolare del verde deve, per incidere, farsi sistema, abitudine, uso condiviso, rete di soluzioni, punto di vista guida, modo di intendere generalizzato e condizionante (le mode, e con ciò forse l’intervento pubblico, perlopiù temporizzato sulle scadenze elettorali). Sguardo capace appunto di trasformare in verde angoli di cemento ma, più in generale, innovativa feconda angolazione condivisa.
Emanuele Bortolotti, Il giardino inaspettato. Trasformare angoli di cemento in spazi verdi, Electa, pp. 215, Є 49 recensito da Andrea Di Salvo su Alias – Supplemento de Il Manifesto del 9 luglio 2011