La rinascita del ginkgo, fossile vivente

La caratteristica foglia a forma di ventaglio e il disporsi dei rami come lunghe dita spigolose fanno del ginkgo un albero inconfondibile nella sua essenziale eleganza. Che lo si incontri in Oriente, maestoso nei suoi esemplari più longevi, nei pressi di antichissimi templi o santuari e, più tardi, ovunque nella fascia delle regioni temperate, come punto focale in parchi, giardini o come alberatura stradale da Manhattan a Seul a caratterizzare ormai tanti nostri paesaggi urbani.

Considerato un fossile vivente, una stranezza botanica, unico sopravvissuto di una stirpe un tempo assai diversificata, è giunto fino ad oggi in forma pressoché immutata dopo aver prosperato per oltre duecento milioni di anni e aver poi subito un significativo, misterioso, declino sfiorando l’estinzione e riducendosi in aree ristrette della Cina, per incrociare infine la sua vicenda con quella ben più “recente” di attenzione e cura da parte della nostra specie di Homo sapiens.

Di questi sviluppi evolutivi e intrecci culturali ci narra ora il paleontologo vegetale Peter Crane, già direttore dei Giardini botanici di Kew, sul filo di una singolare biografiaintitolata al Ginkgo. L’albero dimenticato dal tempo,  traduzione di Gianni Bedini, revisione di Fabio Garbari, Olschki, pp. 256, € 25,00. Dove incrocia reperti fossili, specificità anatomiche, biologia riproduttiva, etnobotanica e biogeografia culturale.

Dalle originarie testimonianze scritte nella letteratura cinese del XI e poi dal XIII secolo, con appellativi come “piede d’anatra”, “albicocca d’argento”, “occhio bianco”, “frutto bianco” e “noce albicocca” e fino alla sua prima descrizione e illustrazione in Occidente nel 1712 ad opera di Engelbert Kaempfer, naturalista e medico della Compagnia olandese delle Indie orientali, che ne introdusse anche il nome derivandolo dalla sua pronuncia regionale giapponese e  fino alla sua comparsa nei giardini d’Europa probabilmente intorno al 1730-1750.

Presente come alimento, con i suoi grossi semi, nella cucina dell’estremo oriente e nella farmacopea come principio che sostiene la memoria, fonte d’ispirazione in letteratura e motivo ricorrente nell’arte orientale come poi in quella occidentale, dove compare nelle raffigurazioni pittoriche come sugli oggetti d’uso o sui gioielli, portatore di valenze simbolico religiose nel taoismo, poi nel buddismo e nello scintoismo, il ginkgo è spesso evocato, nella fase della sua – tutto sommato breve – relazione con il genere umano, per la sua longevità, resilienza e capacità di rinascita. E al tempo stesso questo legame evidenzia però come, anche oggi, proprio la coltivazione e la cura da parte nostra possano rivelarsi componente essenziale nel processo teso alla conservazione delle specie minacciate.

Peter Crane, Ginkgo. L’albero dimenticato dal tempo,  traduzione di Gianni Bedini, revisione di Fabio Garbari, Olschki, pp. 256, € 25,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica X, 38, Supplemento de Il Manifesto del 27 settembre 2020