Opportunamente sgombrato il campo dall’equivoco per cui non si tratta più tanto di salvare la natura o il sistema vivente Terra, emerge chiaramente come occorra invece riattivare – nel senso dell’averne cura collettiva – quell’ambiente dell’uomo che nel territorio, in una continua sovrascrittura di tracce e configurazioni fisiche, culturali, immateriali, si è andato ciclicamente rigenerando rendendolo vivente patrimonio collettivo di città, paesaggi, infrastrutture, modelli, saperi contestuali. Specialmente se quel sistema in equilibrio di relazioni coevolutive fra abitanti e ambiente abitato si è ormai seriamente ingrippato con l’affermarsi della civiltà delle macchine, del fordismo, con la crescita smisurata delle megacities, con la concentrazione ipertecnologica dei poteri e l’urbanizzazione globale del pianeta, con la polverizzazione di habitat interscambiabili, omologanti, esito di una mercificazione estrattiva, del dominio delle leggi economiche e finanziarie.
Argomenta con ricchezza d’analisi la diagnosi, prospettando una radicale cura alternativa Alberto Magnaghi nel suo Il principio territoriale, Bollati Boringhieri, pp. 328, € 30,00. Dove riconsidera il lavoro di una vita, e assieme quello della scuola dei territorialisti, per articolare fasi e processi di una ipotesi di nuova civilizzazione che abbia il suo centro nel territorio come patrimonio di beni comuni, materiali e immateriali.
E tramite la crescita della coscienza di luogo, procedendo per scomposizione e ricomposizione, intrecciando saperi tradizionali e innovazioni tecnologiche, inneschi, instauri nuovi stili di abitare e produrre ricchezza durevole, felicità pubblica. Attivando, contro l’eterodirezione dei flussi globali, che ci riduce a consumatori e clienti, nuovi metabolismi, forme di cittadinanza partecipata, urbanità, gestione comunitaria, promuovendo autonomia e autogoverno, reti tra comunità locali verso un federalismo solidale, per il tramite di bioregioni interconnesse.
Se da un lato è sempre più, proprio a partire dalle urgenze del territorio denunciate per bocca del cittadino e del paesaggio, che politicamente s’impone l’imperativo di un modo altro di abitare il divenire dell’ambiente dell’uomo, questo continuo ibridarsi con gli innesti di molte altre arti, magari in un rispetto ispirato dell’alterità del vivente, non può tuttavia ricondursi, per supplenza, a un paradigma ben congegnato in un progetto di interdisciplinari competenze in tensione etica – una pur sempre tra le possibili cosmogonie.
Alberto Magnaghi, Il principio territoriale, Bollati Boringhieri, pp. 328, € 30,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XI, 2, Supplemento de Il Manifesto del 10 gennaio 2021