Fin dal loro sorgere alla metà del Cinquecento come orti dei “semplici” per la coltivazione delle piante medicinali, poi punti d’accesso di quelle in viaggio, nel loro andirivieni di scambi e ripartenze tra Asia, Africa, Americhe verso l’Europa (e viceversa), e ancora, con il moltiplicarsi del loro raggio di influenza e funzioni nei secoli a seguire, gli orti botanici sono andati disegnando un atlante delle relazioni tra umano e vegetale che nel vortice del gioco di potere e degli interessi economici coinvolge il diffondersi anche di idee, mode, conoscenze e innovazioni, con ricadute negli ambiti dell’estetica, del gusto, del piacere del giardino.
Via via, luoghi di accoglienza e cura, ma anche istituti di ricerca per studiarle, le piante, e insegnarne caratteristiche e utilizzi, laboratori di sperimentazione per moltiplicarle, diffonderle e … sfruttarne le potenzialità economiche, centri di conservazione, collezionismo e scambio di quelle rare o, più di recente, minacciate e a rischio, giardini della scienza ma anche riserva dove il verde può rifugiarsi in città, gli orti botanici sono, a modo loro, una delle istituzioni culturali più eccentriche e, in quella dimensione a un tempo pragmatica e speculativa, irriducibili ad altro. Elemento e assieme infrastruttura privilegiata, sempre in divenire come i gangli di una rete di snodi interconnessi, fatta di quel che transita, e che transitando muta.
A tenere assieme le fila di questo fitto intersecarsi di vicende e saperi, temi e protagonisti, ricostruendone la genealogia attorno a questa combinatoria di uomini e piante per via dei luoghi d’elezione, ci soccorre ora il volume dedicato agli Orti delle meraviglie. I giardini botanici e la diffusione planetaria delle piante da Silvia Fogliato, filologa di formazione, ma da sempre appassionata di piante, delle loro peregrinazioni e relative storie al seguito, di scienziati, vivaisti, orticultori, collezionisti, avventurieri e giardinieri (DeriveApprodi, collana habitus, pp. 216, € 17,00), nonché curatrice del blog i nomi delle piante.
Nell’arco dei circa 150 anni presi in considerazione, dal 1545, con la nascita del primo orto botanico rimasto nella sede originaria, quello di Padova, ai primi del Settecento, sulla soglia dell’affermarsi di nuovi modelli ispirati all’anelito di ricomprendere l’organizzazione del mondo naturale, tradotto nella sistematica, ciascuno dei sei capitoli, illustrato a partire da un orto botanico tra i più antichi d’Europa, individua tra peculiarità e elementi condivisi una tappa e assieme il rilancio di un filo di indirizzo.
In ordine di apparizione, il modello fondativo dell’orto botanico universitario, dove, a Padova, con Luca Ghini, andando oltre lo studio teorico di una botanica farmaceutica fin lì basato sulla lettura dei classici, si arriva finalmente a “dimostrare” tra le aiuole agli studenti di medicina l’esame delle piante vive. Comprese le esotiche, che a Venezia arrivano con le spezie dall’India, o quelle raccolte nell’erbario – da allora, ulteriore, imprescindibile strumento didattico. Si dà poi il caso del Jardin du Roi di Montpellier, fondato invece e finanziato dal sovrano, che riserva particolare attenzione alla raccolta sul campo e allo studio dal vivo della locale flora occitana, inserita nell’orto in modo da riprodurne l’ambiente naturale. E se dalla scuola della città ugonotta molti studenti stranieri protestanti dissemineranno in Europa i metodi appresi dal loro maestro Guillaume Rondelet, diversi tra quelli specializzati a Padova saranno poi gli animatori della stagione che tra fine Cinquecento e l’inizio Seicento vede il diffondersi di numerosi horti medici in Germania, dimostrando anche qui un’attenzione alla flora locale che così poco combaciava con quella mediterranea descritta nei classici di Dioscoride o Plinio.
A cavallo del secolo si collocano poi le esperienze per tanti versi innovative del pur piccolo orto dell’università di Leida, fondato nel 1590 e che sotto la direzione di Carolus Clusius, grande botanico e collezionista di tulipani, si specializza nello studio e nell’acclimatazione delle piante esotiche. Così come poi farà, su larga scala, quello di Amsterdam, giardino dei semplici nelle intenzioni delle autorità municipali che lo fondano (1638) per rifornire le farmacie cittadine, divenuto presto importante centro di ricerca, promotore di grandi progetti editoriali, noto per le serre riscaldate, le collezioni e gli erbari, nonché per lo sviluppo di innovative tecniche di acclimatazione che lo collocano in una dimensione globale come crocevia di una rete internazionale nel quadro di quella rivoluzione commerciale, dove gli olandesi assumono il controllo del commercio delle spezie: quasi un’emanazione della potente Compagnia olandese delle Indie orientali intesa a sfruttare il potenziale economico di piante come il caffè o la palma da olio.
Espressione diretta della volontà di dominio della monarchia francese, infine, anche il giardino di Parigi costituirà un importante snodo e momento propulsivo nel processo di emancipazione della botanica dalla medicina. Presto intitolato perciò, Jardin royal des plantes, dotato di impressionanti collezioni di esotiche, medicinali e “coloniali”, per le quali si organizzano anche spedizioni scientifiche che anticipano quelle ben più impegnative tra Sette e Ottocento, nonché di serre, teatro didattico, erbario, gabinetto delle curiosità, contribuirà, operando in una logica interdisciplinare, all’elaborazione delle prime forme di classificazione sistematica. E, a cavallo tra ricerca, divulgazione e sfruttamento del valore economico riconosciuto all’introduzione e acclimatazione delle piante esotiche, finirà per porsi come modello per le future realizzazioni d’oltremanica.
Ma qui, con alcune argomentate assenze (i giardini spagnoli e britannici), la messa a punto del quadro generale, delle tendenze e dei protagonisti principali, per questi secoli fondativi è fatta. E anticipa il passaggio di testimone ai successivi, dove l’avventura delle piante per orti botanici vedrà, per un nuovo volume che si annuncia, l’irrompere di variabili differenti, dall’imporsi della tassonomia di Linneo alle innovazioni tecniche per conservare e trasportare le piante, dal rilievo di altri attori, come collezionisti, vivai, società orticole ai giardini coloniali, al profilarsi globale della botanica imperiale dei Royal Botanic Gardens di Kew e dei suoi cacciatori di piante.
Silvia Fogliato, Orti delle meraviglie. I giardini botanici e la diffusione planetaria delle piante, DeriveApprodi, collana habitus, pp. 216, € 17,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XI, 37, Supplemento de Il Manifesto del 10 ottobre 2021