Dietro quel loro apparire come ambienti quasi del tutto artificiali, a ben guardarle le aree urbane sono anch’esse ecosistemi. Dove certo si affolla la maggior parte della popolazione umana e dove pure si concentrano criticità come la sempre crescente domanda di risorse energetiche, il pervasivo consumo di suolo, gli esiti più evidenti dei cambiamenti climatici. Ma che pure ospitano scampoli di natura, variamente incolta e addomesticata e comunità di specie vegetali e animali, spesso molto vitali, per quanto sottoposte a inedite pressioni evolutive (in termini magari di complessità dei “suoli”, rumori, illuminazione notturna).
Per paradosso, perciò anche in ambito urbano esiste una biodiversità che merita e necessita di essere preservata e incrementata. Tanto più in un contesto dove fortemente si trovano intrecciate dimensione sociale, economica, culturale.
E, proprio coniugando i temi della salvaguardia della biodiversità in ambiente urbano con le pratiche progettuali della predisposizione e del presidio di spazi aperti per il pubblico, di recente, anche in Italia, colmando un certo qual ritardo, l’architettura del paesaggio è andata assumendo questo orizzonte come grimaldello progettuale. In un approccio integrato che vede la collaborazione tra diverse discipline e incrocia esigenze ecologico-ambientali con funzioni estetiche, etiche e ricreative. Ce ne dà conto ora il lavoro di ricognizione su Nature in città. Biodiversità e progetto di paesaggio in Italia, edito a cura di Bianca Maria Rinaldi, Alessandro Gabbianelli, Emma Salizzoni per Il Mulino, pp. 164, € 16,00.
Ridurre la frammentazione dei molti habitat presenti in città, ricucendo anche per la fauna corridoi di connessione tra parchi pubblici e microambienti vegetati, filari alberati lungo le strade e corsi d’acqua, orti, giardini, spazi verdi disegnati, come anche aree umide, e zone residuali, immaginare quindi infrastrutture verdi, ma anche rinverdire pareti e lastrici solari, incrementando la diversità floristica in città, magari sulla base dell’ospitalità da darsi alla avifauna e agli insetti impollinatori e progettare perfino nuovi ecosistemi integrandoli in ambito urbano, con funzione tra le altre di educazione ambientale. Sono soltanto alcune delle esperienze che emergono dalla disamina dei casi analizzati che enucleano approcci e paradigmi attuativi, variabili e costanti del progetto di paesaggio all’opera sul piano della salvaguardia della biodiversità urbana.
Con approfondimenti volta a volta su strumenti normativi, dalla strategia nazionale ai regolamenti cittadini, ai piani del verde. Con le indicazioni per le specie vegetali da impiegare, la riduzione delle superfici asfaltate, l’utilità di come connettere aree verdi tramite reti ecologiche, il coinvolgimento di attori privati e collettività attive, e relative innovazioni gestionali e normative; fino all’analisi delle criticità del paradigma di una foresta urbana indifferenziata che “rischia di tradursi in una resa all’inselvatichimento”.
Il rilievo di dispositivi come gli Atlanti faunistici, quelli della flora urbana (spontanea e coltivata), per il censimento e la distribuzione delle specie. Il ruolo delle aree archeologiche urbane come habitat rifugio. Dove, fatta salva l’esigenza di conciliare la convivenza in equilibrio tra manufatti e vegetazione, si rileva come si sia andato variamente affermando un atteggiamento progettuale che valorizza la presenza di biodiversità. Anche in quanto rinnovato ideale estetico, andando oltre il fascino decadente dell’associazione tra vegetazione e rovine, e enfatizzando la relazione tra monumento e naturalità proprio a partire dal riconoscimento del valore della selvaticità spontanea che si intende conservare. L’importanza del tema della giusta distanza nell’armonizzare eterogeneità degli usi ed esigenze di differenti fruitori, nella separazione tra aree aperte al pubblico e aree inaccessibili per esigenza di salvaguardia, in particolare nel caso di ecosistemi costruiti ex novo, come le oasi urbane. Lo specifico di come attivare connessioni e prossimità di tipo percettivo anche tramite dispositivi spaziali come torrette, osservatori, passerelle, camminamenti, percorsi: utilizzati per mettere in evidenza, suggerire o guidare l’azione di osservare ed esplorare…
Tra le strategie progettuali che l’architettura del paesaggio dispiega nella valorizzazione della biodiversità in area urbana ricorrono, si evidenzia, due linee di tendenza. Entrambe intese comunque a suscitare una risposta emotiva come strumento per avvicinare la sensibilità del pubblico urbano a una naturalità percepita come valore da preservare (e incrementare). Attraverso la costruzione di una esperienza diretta della natura, fatta di percorsi di educazione ambientale ai valori di biodiversità (visite, tour, raccolta di foto e dati da condividere, bioblitz).
Da un lato tramite un senso di stupore che si innesca con la mediazione di interventi progettuali dal forte segno iconico per evidenziare la qualità estetica dell’ordinario (e quindi anche quella ambientale).
E ancora, attraverso il calcolo, l’attivazione di una opportunistica consapevolezza del molteplice valore delle aree urbane verdi come fonte di benefici. Particolarmente evidenti quelli ambientali, quando tradotti in termini di resa di servizi ecosistemici utili (riduzione del carbonio, sottrazione degli inquinanti, mitigazione microclimatica, uso del suolo).
Nature in città. Biodiversità e progetto di paesaggio in Italia, edito a cura di Bianca Maria Rinaldi, Alessandro Gabbianelli, Emma Salizzoni, Il Mulino, pp. 164, € 16,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XII, 3, Supplemento de Il Manifesto del 16 gennaio 2022