Annunciato a più riprese e spesso inseguito nel suo andamento carsico, il fenomeno del ritorno alla terra, da intendersi nel quadro di un più complessivo ripensamento critico del modello urbanocentrico con annessi limiti, è andato di recente riaffermando i tratti della sua composita fisionomia. Molte tracce vengono ora puntualmente individuate, nell’incresparsi di limiti e contraddizioni della globalizzazione imperante, forse di un suo contrarsi in varie risacche di de-globalizzazione, da Valentina Boschetto Doorly che ci racconta come La terra chiama, articolando forme e movenze di quel che già è Il nostro futuro lontano dalle città, pp. 302, € 22.00, il Saggiatore.
Incrociando la distanza dello sguardo categorizzante che gioca con le nomenclature e la prossimità delle molte testimonianze raccolte e ritessute nel volume in tendenze prevalenti, di questo fenomeno vengono ripercorsi temi diversi ma complementari. Il tornare a fare impresa agricola, reinsediandosi magari in territori marginali, ma nel modificarsi di protagonismi e formule, in una logica multifunzionale, di produzione e trasformazione, che include attività ricettive, magari fattorie sociali, che si reinventa con forme di adozione e economia circolare e si traduce nella protezione e gestione del territorio. Dalle coltivazioni di precisione alle eccellenze di nicchia, dai vitigni della val d’Ossola al mais corvino,
Sempre nel combinarsi di fenomeni come l’invecchiamento della popolazione, il diffondersi di forme di lavoro da remoto, gli effetti del cambiamento climatico che spinge fuori dalle città i cittadini e le coltivazioni agricole ad altitudini sempre più elevate, si inquadra il procedere del ripopolamento alpino, che sia da parte di nuovi montanari per scelta, o di ritornanti (nuove generazioni urbane con legami familiari con le Terre Alte, fino al rilancio, con il moltiplicarsi delle stagioni, della vita dei comuni montani, anche nelle forme del pendolarismo strutturato (dopo i mesi invernali in città), della risalitasemiresidenziale in montagna per sfuggire agli effetti del riscaldamento, delle migrazioni verticali, in quota. Una pratica quella dello spostamento tra residenza primaria e luoghi rurali per lunghi mesi e stagioni, del vivere part time, magari con l’avvio di piccole attività che investe anche le aree interne del paese – quelle che occupano oltre il 60% della superficie nazionale. Rivitalizzate anche tramite strategie di ridistribuzione di case vuote abbandonate o la promozione di forme di turismo esperienziale, diffuso, fuori stagione. Un turismo verticale, lento e attento a mete minori, piccoli borghi, cammini codificati come la via Francigena, circuiti di secondo livello, che associano scoperta culturale, storica, enogastronomica, paesaggistica. Forme di ecoturismo che si impegna per la salvaguardia dell’ambiente, esperienze ibride tra volontariato e turismo attivo (nello scambio tra volontari e fattorie ospitanti).
Nel volume si alternano così passioni e narrazioni di sperimentatori e avanguardie ormai strutturate proposte operative e buone pratiche da condividere e cui dar voce. Dalle esperienze della Banca della terra al progetto Agritessuti, dallo sportello Vado a vivere in montagna ai progetti di residenzialità diffusa, locazioni a lungo termine, con servizi e relativa infrastrutturazione sanitaria del caso di Happy village di Lega Coop.
Passioni e narrazioni di un agire volto a riequilibrare asimmetrie e curare lacerazioni si alternano così nel volume con i tratti ribelli di un pensiero dissidente, che nel ridisegno in controtendenza di modelli e forme dell’impianto amministrativo, fiscale, burocratico introducono uno sguardo d’insieme, ultracittadino.
Valentina Boschetto Doorly, La terra chiama. Il nostro futuro lontano dalle città, il Saggiatore, pp. 302, € 22.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XII, 8, Supplemento de Il Manifesto del 20 gennaio 2022