Acchiocciolato com’è su quel che resta dei terrazzamenti fortificati, al di sopra della cittadina antica di Gerberoy, al confine tra Normandia e Piccardia, il giardino di Henri Le Sidaner, pittore giardiniere, ricondotto perlopiù alla corrente degli intimisti, si libra da quegli spalti, tra spazi segreti e aperture sul paesaggio.
Realizzato a partire dal 1901 articolando una serie di passaggi per via di pergole, balaustre, scalinate e belvederi, questo universo conchiuso vive però e respira in una fitta trama di relazioni. Da un lato, con la casa di cui è trampolino disteso sui panorami distanti della regione che da quei vertici e ridotti continuamente s’aprono e s’avvertono. Dall’altro, per il suo partecipare ed essere innesco di quel complessivo “giardino diffuso” in cui l’intera cittadina stessa si è andata, con lui, costituendo in una coevolutiva vicenda di invenzione e cura. Quella Gerberoy dove ad ogni angolo di strada, come per la regia di un accorto giardiniere condiviso, si avvicendano alberature diverse lungo i viali e fioriture di ortensie, rose rampicanti, clematidi e gelsomini che, tono su tono, ricoprono ancora oggi – come a fissarle nel tempo – le facciate tradizionali delle case, quelle in mattoni normanni e quelle a graticcio con travature in legno tipiche della Piccardia.
È una vicenda, quella del giardino e della sua città, che procede in parallelo proprio a partire da quando, con l’avvio del secolo, alla ricerca di una casa in campagna dove trasferirsi e creare un giardino per potervi dipingere, Le Sidaner scopre la regione del Beauvaisis su indicazione di Auguste Rodin e poi, indirizzato dall’amico Auguste Delaherche, ceramista Art Nouveau, sceglie la piccola città di Gerberoy.
Qui, nella parte alta, ai piedi della collegiata medievale che, oltre i tetti delle case, domina il paesaggio collinare, decide di affittare e rimettere in uso un’antica abitazione con un frutteto abbandonato, che acquisterà già poi nell’aprile del 1904. Per quasi quarant’anni, fino alla morte nel 1939, Le Sidaner risiederà a Gerberoy a dipingere nei mesi estivi, dividendosi tra diversi viaggi di studio e, a partire dal 1912, Versailles, altro suo luogo di elezione.
E in tutto questo tempo, oltreché all’invenzione del suo giardino, si interesserà alla cura e all’abbellimento dell’aspetto della cittadina, adoperandosi attivamente per la salvaguardia e la valorizzazione del suo impianto tradizionale.
Mobilita l’opinione pubblica fino ad arrivare alla costituzione, nel 1909, della Société des amis de Gerberoy, in Francia una delle prime associazioni intese alla salvaguardia del patrimonio. Con donazioni e suggerimenti, anche cromatici, sul restauro delle facciate e sulle piante che le avrebbero decorate, incoraggia tutti i residenti a piantare fiori davanti alle proprie case, finché negli anni Venti la cittadina fiorita e il suo giardino diverranno meta frequente di gite e visite e, dal giugno 1928, oggetto dell’istituzione di un’annuale, tuttora attiva, importante Festa delle rose.
I primi interventi sul giardino interesseranno il ridisegno della porzione dell’ex frutteto. Per procedere poi nel tempo, recuperando i terrazzamenti delle fortificazioni sul pendio che risale le rovine del disfatto castello. Con l’acquisto dalla municipalità di altre piccole parcelle, il giardino si amplia via via di nuovi episodi, strutturati in base alla morfologia del terreno, fino a comprendere un’area complessiva tra i 3 e i 4.000 metri quadri (tuttora di proprietà della famiglia, il giardino è stato restaurato ed è accessibile al pubblico). Una sequenza di stanze verdi all’aperto, separate da muretti o siepi, dove ogni porzione – dal giardino delle rose alle terrazze all’italiana, dal padiglione destinato a ospitare il suo studio all’aperto al tempietto dell’Amore – ha una funzione e un carattere particolare nel segno di un’espansione nella natura e nel paesaggio. Secondo un modello che, se da un lato, in questo primo quarto di secolo recupera al giardino una dimensione formale, una propria geometricità, con elementi architettonici, scalinate, balaustre, dall’altro, per addolcirne il rigore, integra l’uso di piante vivaci e annuali: in un’intervista del 1913, Le Sidaner confessa il suo desiderio di dar voce “al giardino classico” introducendo in quello “alla francese, cosa adorabile, un po’ di più di natura”.
Estesa è in questa fase l’influenza del giardino inglese (Le Sidaner viaggia molto, visita Kensinton, Kew Garden e i giardini di Hampton Court, che ritrae) in particolare nella lezione “naturale” di quel William Robinson, ispiratore dell’uso della flora spontanea – ma anche tramite con la cultura orticola francese che supporta la riforma haussmanniana – nonché della diffusione del giardino Arts and Crafts, magari nella declinazione operata di recente in terra di Francia dalla coppia, sempre inglese, dell’architetto Edwin Lutyens e della pittrice e poi paesaggista Gertrude Jekyll, a Varengeville-sur-Mer in Normandia, nella seminale casa giardino di Le Bois des Moutiers.
Più ancora, però, risulta diffusa, e si riflette nelle articolazioni del giardino di Gerberoy, una complessiva tendenza a un eclettismo di derivazione storicistica. Nel senso di un composito recupero di stili diversi – anche sull’onda di una rinnovata attenzione che si traduce di volta in volta in riscoperte, restauri e rifacimenti. Una tendenza che, a cavallo tra tradizione e sperimentazione, incrocia diversi moduli e stilemi con le suggestioni e il linguaggio delle arti figurative ispirati dalle più recenti tendenze.
Così, nel suo primo intervento, Le Sidaner riserva alla parte del giardino direttamente affacciata sulle finestre del soggiorno e della sala da pranzo un’atmosfera formale, ritagliando al posto del frutteto originale un grande prato rettangolare di cui enfatizza la pur ridotta prospettiva assiale, inquadrandolo in un gioco di scalini e vasi, balaustre e statue sullo sfondo. Segnato al centro da una fontanella recuperata in un viaggio a Venezia, il prato è delimitato da un’aiuola di piante tutte a fiore bianco: garofanini piumosi alla base, rose piangenti in secondo piano, scompigliate, sempre sui toni del chiaro, da campanule, phlox, grandi margherite, masse di achillea e fasci di astri. Un monocromo chiamato a modulare sulla stessa nota, come spesso nei suoi quadri, minime variazioni ed effetti di luce.
Non manca poi il classico tema della terrazza delle rose, che s’incontra sullo spalto dove nel 1906 Le Sidaner aveva fatto costruire un padiglione quadrato di pietra e mattoni d’ispirazione Arts and Crafts con funzione di atelier d’estate. Qui, tra oggetti recuperati nei suoi viaggi – statue, vasi, una vasca, una meridiana –, sdrammatizzato nella mescolanza di colori vivaci di erbacee perenni come physostegie, malve e phlox, o di annuali come clarchie e papaveri, trionfa tutt’intorno il protagonismo delle rose in varietà: che siano incorniciate a terra da un accenno di parterre di siepi di bosso, dal disegno sinuoso, o arrampicate invece su pali, archi e sostegni, anch’essi fatti realizzare da maestranze locali sempre secondo disegni del pittore – purtroppo andati perduti durante la guerra con l’occupazione della casa da parte dei tedeschi.
E ancora, sempre a proposito di debiti, mentre dal suo soggiorno alle Isole Borromee, sul Lago Maggiore, trarrà ispirazione – come testimoniano anche una serie di studi e dipinti – per sistemare con balaustre in pietra, vasi e statue, rose e ortensie i dislivelli che risalgono le rovine delle fortificazioni di Gerberoy, trasfigurandole in un giardino di terrazze all’italiana, è sui resti di una torre fortificata appartenuta al castello medievale che Le Sidaner progetta e fa realizzare, a belvedere, un circolare Tempio dell’Amore ispirato a quello di gusto neoclassico che si trova al Petit Trianon a Versailles, con una replica della piccola statua del Putto con delfino di Andrea del Verrocchio: ancora un giardino a tema, anche cromatico, dove gialle rose rampicanti e clematidi viola proiettano sulle mura la serie dei gialli e blu delle piante a terra, calendule, rudbeckie, coreopsis e, a contrasto, pervinche, speronelle, gerani blu Rozanne, campanule e nigelle.
Come risulta dai suoi diari e da diversi articoli di inizio secolo che descrivono il suo giardino, oltre la dominanza delle rose, in fiore da marzo a novembre in questo clima temperato, le varietà di piante prescelte risultano quelle diffuse nei cataloghi dell’epoca. Abbonato alla Gazette des Jardinse membro della Société des Amateurs de Jardins, Le Sidaner presiede agli interventi in giardino e ne progetta gli elementi, rifacendosi, come si è visto a diversi modelli.
Più in generale, prima di fissarli sulle sue tele, il pittore giardiniere cura e ricompone giardino e paesaggio.
A questo multiforme soggetto pittorico d’insieme – fatto sia di ritagli del suo giardino che di vedute della città vecchia, della trama di strade, piazze, svolte e edifici, angoli e palazzi rivestiti di rose – Henri le Sidaner dedicherà negli anni oltre trecento tra studi e dipinti (un centinaio di tele), un quarto della sua opera. Raffigurato in diverse ore del giorno, ma preferibilmente alla luce sommessa di fine giornata.
Ma, nel ritrarre il suo giardino, proprio come quando dipinge i bacini dei giardini di Hampton Court, o le serie delle fontane del Trianon o di Nettuno a Versailles, o il pergolato che inquadra le terrazze dell’isola sul Lago Maggiore, Le Sidaner non cerca le grandi prospettive. Del suo giardino ritaglia visuali ristrette, come isolando istanti da un ininterrotto fluire, incorniciandolo spesso dall’interno delle stanze che su di esso si affacciano, o nel gioco di scambi tra punti di vista dei diversi ambienti che lo articolano, procedendo tra i terrazzamenti, nell’andirivieni tra esteriorità e interiorità cui continuamente l’esperienza del giardino rinvia.
Con l’inizio del secolo, al momento dell’acquisto della casa e dell’avvio dei lavori in giardino, Le Sidaner pittore aveva ormai maturato un suo stile, per quanto nella varietà delle proposte e delle influenze attraversate. Abbandonato il realismo sentimentale degli esordi, era passato oltre la tentazione simbolista. Dell’esperienza degli anni trascorsi con la colonia cosmopolita di pittori a Étaples restavano le amicizie e il piacere della convivialità. Essenziali, poi, erano stati i suoi soggiorni a Bruges con l’evocazione tremula di paesaggi silenti, nonché le frequentazioni parigine degli artisti indipendenti della cerchia simbolista, frequentata per il tramite del compositore Gabriel Fabre, con i successi delle mostre presso l’importante galleria di Georges Petit, suo mercante dal 1895, con i sodali della Société Nouvelle des peintres et sculpteurs e la cerchia degli intimisti Henri Martin, Edmond Aman-Jean, Henri Duhem e Ernest Laurent.
Ma nel complesso, il suo lavoro si era andato sviluppando lontano dalle etichette dei movimenti artistici cui attinge senza granché innovare, assecondando il suo gusto. Motivi essenzialmente intimisti, spesso innescati da una finestra o una panchina, le sue opere, dipinti e pastelli, incontreranno un notevole successo anche di vendite, con personali a Parigi, Londra, Bruxelles e negli Stati Uniti, stemperandosi nella varietà di un’espressione vieppiù decorativa.
Degli impressionisti aveva abbandonato la presa diretta sulla natura, per tornare alla pittura di studio. Dove però il lavoro di memoria, riprendendo magari quanto annotato all’esterno, traspone l’impressione oltre la vista, in un’esperienza interiore, immaginativa. Una dimensione introspettiva dove i luoghi della vita quotidiana e le scene domestiche, con il loro fascino semplice e la loro poesia latente, vengono trasfigurati in paesaggi dell’intimità.
Così, paesaggi ordinari, colti in momenti di passaggio – come al mattino, al crepuscolo o al chiaro di luna – per trasmettere il senso transitorio di un momento effimero, di un effetto fuggitivo, della bellezza di un istante, vengono catturati in una luce rarefatta, concentrata in cromatismi trattenuti.
Instancabilmente, nelle atmosfere morbide, nelle sfumature calde dei colori pastello di una tavolozza che in Le Sidaner sfoca contorni e colori, ricorrono i suoi motivi e soggetti preferiti.
In particolare, il mondo del suo giardino, deserto pressoché d’ogni figura umana, visto attraverso le aperture del paesaggio o, dall’interno della casa, attraverso finestre aperte e terrazze, nell’intimità di un angolo con tavolinetti e panchine, e poi le vedute del villaggio, le facciate incorniciate di persiane fiorite, la campagna solitaria.
La serie delle tavole imbandite o appena sparecchiate, bianche o blu, a evocare un’aura di convivialità – gli incontri frequenti con amici e artisti nella casa di Gerberoy. Vuota però di presenze che non siano le tracce, accuratamente disposte in composizioni sospese di nature disabitate, che suggeriscono presenze invisibili, passaggi recenti: bottiglie e bicchieri mezzi pieni, cesti di frutta, vasi allestiti con fiori da taglio del giardino, oggetti abbandonati.
Esemplare di questo dialogo silente di trame ed echi che si rimpallano tra arredi, piante, fiori, interno e esterno, casa e giardino, il dipinto del 1908, Finestra con garofani, dove, a distanza ravvicinata, vediamo quasi in soggettiva, impliciti commensali, una tavola apparecchiata nella sala da pranzo, e, oltre la cornice della finestra aperta, la diagonale del giardino. In un’inclinata accelerata dallo stacco della bordura di fioriture bianche e intervallata però dalla panchina che appare di traverso, presto conclusa poi, in fondo, dalla balaustra. In una progressione ferma, dove ordinando e intrecciando, si impigliano nel vibrato perdurare di un istante i bicchieri e le brocche sul tavolo, i fiori sul davanzale e quelli fuori – della bordura a terra e del risucchio dell’onda delle rose a mezz’aria sulla destra –, i dischi di luce sul prato, il riverbero in infilata del giardino che slitta sui vetri della finestra, spartito ancora e raddoppiato dalle lame delle due ante aperte di taglio.
Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XII, 16, Supplemento de Il Manifesto del 17 aprile 2022