Per quanto in genere le piante trasmettano di sé un’immagine mite e positiva di soggetti incapaci di rappresentare in prima battuta un pericolo di cui diffidare, esistono casi in cui per difendersi alcune di esse ricorrono a strategie fastidiose o pericolose. Pizzicano, pungono, ustionano, emanano odori nauseanti, producono sostanze irritanti che innescano reazioni allergiche, molecole che danno dipendenza e alterano (anche) le nostre percezioni, perfino veleni letali.
Non occorre immaginarle dotate di una malvagia intenzionalità, quanto piuttosto della raffinata capacità di aver messo a punto nel corso del tempo, assieme con le strategie di diffusione dei semi, straordinarie abilità per difendersi dai predatori e adattarsi all’ambiente.
Anche quello così spesso inquinato e alterato da parte di noi umani. Tanto da concorrere alla diffusione incontrollata di quelle specie vegetali esotiche che, in assenza dei loro predatori originari, diventano invasive, con conseguenze gravi in termini di perdita di biodiversità e riduzione della varietà degli organismi viventi, nonché alla crescita estrema di quelle allergeniche: con un’incidenza del fenomeno ormai di salute pubblica che vede le allergie da pollini colpire oggi il 20-25% degli europei, e che si prevede arrivi al 50% entro il 2050.
Di queste Piante cattive ci racconta con spiazzante ironia e meticolosa documentazione di casi la biologa e scrittrice Katia Astafieff (sottotitolo Storie velenose, urticanti e letali, add editore, pp. 187, € 18,00).
Se l’ossido sprigionato in forma di gas dalla cipolla per proteggersi dagli insetti ci fa piangere quando viene tagliata e l’alcaloide della capsaicina sintetizzata dai peperoncini per proteggersi dai predatori – esclusi gli uccelli in grado così di disperdere i semi – è fonte a un tempo di piacere e sofferenza, l’urticante, comune ortica cantata da Victor Hugo (amo il ragno e amo l’ortica, perché l’uomo li odia) ci si dice ha una pericolosa parente neozelandese nella varietà ferox, alta cinque metri e provvista di proporzionali peli urticanti.
Così la mancinella o manzaniglio (Hippomane mancinella) che vive sulle spiagge tropicali e produce un lattice urticante usato per avvelenare le frecce, in Venezuela vien chiamata Árbol de la muerte: è la stessa pianta che Erasmus Darwin, nonno di Charles, medico e botanico, celebra in rima come malefica e sinistra, mentre in Madame Bovary Flaubert ne evoca l’ombra come orizzonte di pericolo in una lettera di rottura inviata a Emma da Rodolphe: «Dapprima non avevo riflettuto, riposavo all’ombra di quella felicità ideale, come avrei potuto fare sotto il manzaniglio, senza prevederne le conseguenze».
Tra le piante che pericolosamente diventano invasive, l’incantevole, ma fotosensibilizzante, panace di Mantegazza (Heracleum mantegazzianum), introdotta nel XIX secolo come pianta ornamentale, divenuta famosa per aver ispirato gli artisti del movimento Art Nouveau dell’École de Nancy, e presto fuggita dai giardini botanici, come testimonia fin la canzone dei Genesis che ad essa si intitola The Return of the Giant Hogweed.
L’ambrosia con foglie di artemisia (Ambrosia artemisiifolia), annuale originaria del Nord America, è sia invasiva, perché importata in Europa nel XIX secolo e all’inizio del XX – pianta “ossidionale” arrivata con il cibo dei cavalli trasportati con le guerre mondiali – sia altamente allergizzante
Tra le piante in qualche modo cattive, figurano le piante assassine, che contengono sostanze molto tossiche, potenzialmente letali, ma anche quelle che variamente alterano la percezione e danno dipendenza. Come il cactus di nome peyotl (o peyote), che contiene mescalina dalle proprietà psichedeliche, o il papavero da oppio all’origine di ben due guerre, o ancora la Datura stramonium conosciuta per i suoi effetti allucinogeni e capace però di alleviare problemi legati all’asma: Marcel Proust consumava grandi quantità di sigarette antiasmatiche alla datura, la cui vendita peraltro fu vietata soltanto a partire dal 1992.
Da non dimenticare il principale alcaloide dell’albero della coca, la famosa cocaina, estratto per la prima volta nel 1855, ma già usato come analgesico dalle società precolombiane e dai coloni spagnoli per far lavorare gli schiavi nelle miniere d’oro e d’argento. E il tabacco, inizialmente considerato pianta medicinale, fumato poi nella pipa, con la fine del XVII secolo, quando il sigaro progressivamente sostituisce quello da fiuto, mentre la sigaretta si diffonderà con il XIX secolo; la cannabis, una delle droghe più consumate al mondo e una delle primissime piante addomesticate dall’uomo (in Cina tracce archeologiche della pianta risalgono all’8000 a.C.), e tutte le piante che forniscono alcol – ogni paese e cultura hanno le proprie – la mora per il kir, l’agave per la tequila, le patate per la vodka e, dalla distillazione della melassa di canna da zucchero, il rum.
L’autrice evidenzia come tuttavia molte di queste temibili piante facciano una sorta di doppio gioco: dannose e persino letali, son spesso utili anche per ricavarne cibo o medicinali e, impiegate a scopo terapeutico, arrivano fino a fornire princìpi attivi anticancerogeni (è il caso del tasso). Questione di quantità e dosaggi. E a ogni buon conto, con i loro poteri insetticidi, quantomeno contro i predatori, molte piante possono diventare un’alternativa valida alla chimica.
Katia Astafieff, Piante cattive. Storie velenose, urticanti e letali, add editore, pp. 187, € 18,00 recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIII, 12, Supplemento de Il Manifesto del 26 marzo 2023