Orti urbani, scolastici, carcerari, casalinghi, curativi; giardini comunitari, interstiziali, condivisi, … l’enfasi del volumetto di Pia Pera, Giardino & ortoterapia (Salani Editore 2010, pp. 126) è tutta nella vocazione terapeutica che li pervade, presupponendo, non senza fondamento, una condizione di perduto equilibrio da risanare: nel rapporto con la natura, nell’ambito delle relazioni sociali, in quello del nostro foro interiore. Coltivando la terra si coltiva anche la felicità, si legge nel sottotitolo l’indicazione del metodo e dell’obiettivo – terapeutico – del testo, mentre il suo andamento estravagante echeggia gli interventi dell’autrice in coda al noto mensile di giardinaggio, nella rubrica dal titolo, appunto, Apprendista di felicità. Un percorso conoscitivo nel verde e del verde che reciprocamente influenza soggetto e oggetto. E allora, se “prendersi cura di un giardino è un modo di prendersi cura anche di noi stessi”, indagando il carattere dei suoli viene facile l’analogia tra mente e terra. Come si fa con quest’ultima, per ottenere risultati in giardino bisogna “alleggerire” la mente, lavorandola con attenzione e pazienza, imparando la lentezza dei processi, il ritmo dei cicli naturali, ma anche la continuità dei ripetuti interventi che esige accompagnare il vivente in trasformazione. Per l’allievo, gli insegnamenti sono mutuati dai tanti maestri richiamati (dal Gilles Clément del Giardino planetario alla filosofia della non azione e de La rivoluzione del filo di paglia di Masanobu Fukuoka), ma su tutti prevale il magistero della pratica del giardino e dell’orto e l’apprendistato dell’autrice è costellato di felici riti di passaggio: da quello di comunanza tellurica con le radici di un arbusto, nello scavare la buca dove vivranno, all’affilare una falce all’uso discreto e consapevole. Ma è il racconto dell’applicazione terapeutica negli orti di esperienza che specialmente interessa. Ancor più e continuativamente documentato sul sito Orti di pace (www.ortidipace.org), connettore di esperienze educativo orticole, svolte soprattutto nelle scuole, promosso dall’autrice. Perché, se nel senso proprio, con ortoterapia si intende una sperimentata – nei paesi anglosassoni – metodologia terapeutica che attraverso interazioni uomo-pianta affronta disabilità o disagi in ambiti formalizzati come ospedali, case di riposo, centri psichiatrici, ma anche carceri e centri di recupero, è invece l’orto scolastico, luogo principe di relazioni libere, il grande maestro dove si declina la terapia dell’apprendere. Sperimentare, fin dall’infanzia, nella pratica quotidiana del coltivare in gruppo la terra il piacere e gli effetti del proprio agire alimenta attenzione, consapevolezza del proprio ruolo, senso di responsabilità. Seminare, annaffiare, trapiantare e poi coglierne il frutto significa anche osservare, disegnare, desumere una sequenza e un metodo, nominare le cose della natura. Un apprendistato del giardino di cittadinanza cui da allora, al di là delle mode, sentire di appartenere (difendendolo, all’occorrenza, anche dai proditori attacchi di quei devastatori sconosciuti che gli studenti, determinati a ricostruire il loro orto scolastico appena distrutto, identificano – con estrosa, inventiva ironia – come “ortogoti” dispersi in ritirata).
Pia Pera, Giardino & orto terapia. Coltivando la terra si coltiva anche la felicità, Salani Editore 2010, pp. 126, € 11,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias 40 – Supplemento de Il Manifesto 9 ottobre 2010