Annotate mese per mese e raccolte in quadernetto, le esperienze del prender via via dimestichezza con la cura dell’orto ne replicano sulla pagina la vicenda e la trama circolare, ripetuta in una ricorsività che include però l’imprevisto.
Un tempo ciclico, organico, dove per piccoli segni osservare il concorrere di una molteplicità di organismi entro un sistema vivo, un nuovo inizio nel gonfiarsi delle gemme, come nel fiore dove si intravede il frutto o nel seme che incuba ripartenze. Un tempo rotatorio, di cui magari la pigrizia tende ad amplificare il raggio, fatto di storie con varianti infinite, da tenere a bada venendo a patti con la luna, inventando rituali. Un tempo ciclico, quello dell’orto, anche perché al terreno riporta quanto è stato tolto.
Un tempo reale, parallelo al fare di ogni giorno, al considerare via via il domani, che Barbara Bernardini viene ripercorrendo da inizio primavera a fine inverno nel suo volumetto Dall’orto al mondo, in una dettagliata fenomenologia del sovrapporsi e intrecciarsi di crescite, estinguersi e rinascite, che, empaticamente sincronizzata, dal tecnico scivola nel racconto, accordandosi alle movenze dei suoi interlocutori vegetali (sottotitolo, Piccolo manuale di resistenza ecologica, Nottetempo, pp. 262, € 17,00).
Dal suo minuscolo osservatorio, una striscia di terra in lieve pendenza dove tra gli ortaggi riaffiorano a tratti i tralci di un vigneto dismesso, tra provinciale e ferrovia, a mezzo tra campagna e area industriale, tra palude di bonifica e sostrato vulcanico, tra Latina e Roma, si dispiega a raggera e dilata verso temi più ampi un almanacco di lavori, progetti, buoni propositi e riflessioni ancorate alla terra.
E se da sempre le piante han viaggiato, anche prima dell’uomo, attraversando spazi e poi millenni di progressive selezioni, adattandosi e modificando le terre dove sono arrivate, cambiando il paesaggio, influenzando le abitudini degli animali e la linea di demarcazione tra erbe spontanee e coltivabili, il procedere è qui in un ciclo stretto, privo di confini netti. Secondo i tempi delle lune – che alternamente favoriscono crescita di radici e parti aeree – e i calendari delle semine. Quelli, tra divagazioni su zuppe invernali di broccoli e legumi, fantasiose etimologie di piante e consigli di manutenzione degli attrezzi, che dal lontano 1762 ancora annualmente pubblica il glorioso Almanacco Barbanera per accompagnare le stagioni.
A partir da quando la primavera stenta ancora a partire e si procede nella scelta di sementi di varietà diverse, per arrivare ai primi raccolti. Finito il tempo dell’attesa, d’un tratto la crescita accelera al punto che, dopo la raccolta del mattino, occorre tornare a vagar nell’orto per vedere quel che maturerà nell’arco della giornata.
Considerazioni su temi generali, come redistribuire l’accesso a coltivazione e riproduzione delle sementi, recuperare aggiornandoli alle nuove necessità e scoperte i saperi contadini, opporsi alle pratiche dell’agricoltura intensiva, della grande distribuzione e delle logiche dei brevetti sul vivente, si avvicendano a passeggiate di osservazione serali in un orto fitto di nascondigli. Dove la comunanza con animali e piante ci aiuta a rimettere in prospettiva le nostre posture, fatte di illusioni di controllo e dominio, riguardo a una natura troppo spesso percepita come separata, esterna, frequentabile nella forma residua di esperienze confezionate come prodotti di mercato.
Al ritratto tributato all’amarena prediletta, s’alternano un excursus sui carciofi, pianta che eccezionalmente traguarda le stagioni, come pure i lamponi, o la storia della zucca. Delle varie specie diffuse dall’antichità in Europa, per quanto piuttosto utilizzate per conservare e trasportare liquidi, e soppiantate dalle varietà introdotte qui da noi dagli spagnoli e provenienti da Messico e Perù dov’erano diffuse da oltre 6000 anni. Per via di incroci, anche quella a forma di turbante, detta Marina di Chioggia, innesco delle Baruffe chiozzotte del Goldoni.
Finché con l’orto estivo, sospeso per il caldo ben oltre l’annaffiare, tutto appare andar da sé: è un’esagerazione continua, un tripudio, un affannarsi a raccogliere. E, finita la frenesia dell’estate, dopo la giungla ormai inselvatichita di quello estivo, l’orto invernale comincia lentamente a prender forma per un nuovo inizio. Mentre il terreno si rigenera, a febbraio ancora svettano i finocchi, lasciati crescere per arrivare al seme.
Barbara Bernardini, Dall’orto al mondo, Piccolo manuale di resistenza ecologica, Nottetempo, pp. 262, € 17,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIII, 25, Supplemento de Il Manifesto del 25 giugno 2023