Nel succedersi di letture e interpretazioni che dalla fine dell’Ottocento – con la nuova attenzione preraffaellita e poi lo scandaglio da parte di figure come Aby Warburg e Ernst Gombrich – investono la fortuna critica di Botticelli e in particolare della sua Primavera, un capitolo a sé è costituito dal primo tentativo di censimento e identificazione puntuale delle numerosissime specie floreali raffigurate con minuzia e disseminate nel dipinto con un protagonismo pressoché inedito. Per misurare poi, nel fitto sovrapporsi e intrecciarsi di associazioni e significati simbolici che spesso in quelle presenze vegetali si condensano, la distribuzione e il rilievo che giocano nell’evocare avvenimenti storici, idee, filosofie sottese.
Opportunamente contestualizzato nella più ampia vicenda storiografica da Lucia Tongiorgi Tomasi, viene ora proposto da Olschki il pionieristico volume pubblicato in inglese nel 1983 dalla storica dell’arte italoamericana Mirella Levi D’Ancona, La Primavera di Botticelli. Un’interpretazione botanica, pp. 93, € 20.00. Con le avvertenze che se la nuova attenzione per il mondo vegetale, anche nella sua dimensione medicinale o nella pittura – da Gentile da Fabriano all’Angelico, a Filippo Lippi – dev’essere ricondotta pure alla presenza fisica di giardini spesso anche a Firenze occasione di convegno per politici e diplomatici, umanisti e accademici, nella sua lettura occorre sempre comprendere la complessità di livelli e la pluralità di accezioni proprie dei significati simbolici floreali: in relazione a differenti contesti e fasi e rispetto a tipologia e intenti delle fonti.
Anche con riguardo al loro associarsi e alla posizione nel dipinto, Levi D’Ancora identifica quaranta tipi di piante, restituite con appositi schizzi numerati e quindi in un riepilogo dei significati per ciascuna, ripercorsi a corredo, o smentita, delle diverse fonti e interpretazioni dell’iconografia del dipinto.
Tra i protagonisti, articolato in gruppi di figure sulla base delle Stanze per la Giostra di Angelo Poliziano e specialmente dei Fasti di Ovidio, Zefiro (tra due alberi di alloro, diversi per grandezza, attributo forse di Lorenzo il Magnifico e del suo pupillo e cugino Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, detto anche “il Lorenzo Minore”) che nella leggenda aggredisce la ninfa Cloris divenuta poi sua moglie come Flora, divinità che presiede il mondo vegetale. Al centro della scena, Venere, dea dell’amore e del rigenerarsi della vita, che nel richiamo religioso del gesto benedicente si volge a destra mentre sopra di lei si libra in volo suo figlio Cupido, e ancora, a sinistra, il gruppo delle Tre grazie impegnato in un’avvincente danza nuziale, seguito, a chiudere, dall’ultimo personaggio, Mercurio.
Questo, nell’interpretazione ripresa da Levi D’Ancona che ipotizza il dipinto concepito inizialmente, all’incirca nel 1476, per celebrare l’amore tra Giuliano dei Medici e Fioretta Gorini e modificato successivamente, con la raffigurazione di Mercurio e le Tre grazie al posto di un’allegoria del Giudizio di Paride (citato in una lettera di Marsilio Ficino all’astrologo Lorenzo Bonincontri), quando, dopo la morte di Giuliano ucciso nel 1478, nel corso della congiura dei Pazzi, venne completato come dono per il matrimonio del 1482 tra Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici e Semiramide Appiani. Tantoché l’autrice identifica Talia, la Grazia centrale cui Cupido, bendato, indirizza la sua freccia, come Semiramide: rivolta a Mercurio (Lorenzo), a sua volta con lo sguardo al cielo, a significare il trascorrere tra amore terrestre e contemplazione di Dio.
Un’altra lettera di Marsilio Ficino, questa volta del 18 ottobre 1481 a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, illustra il significato delle Tre Grazie anche dal punto di vista astrologico, secondo cui le figure del lato sinistro dovevano rinviare al mese di maggio, data in cui era previsto il matrimonio Medici-Appiani. E molte delle piante raffigurate nella Primavera rivestono un significato particolare legato proprio al matrimonio, o ne richiamano, appunto, la data.
Come nella lezione di Ovidio, dalla bocca di Cloris, che sposandosi si rinnoverà in Flora, escono rose di primavera; mentre Flora indossa una veste bianca ornata da garofani (fiore del matrimonio) e fiordalisi (attributo della sposa felice), rose (amore trionfante) e fragole (seduzione e piacere sensuale). E porta al collo una corona nuziale di pervinche (il vincolo del matrimonio), myosotis (il ricordo) e, a simboleggiare amore eterno, un fitto intreccio di fiori di melograno e foglie di mirto, secondo la credenza che le due piante – così raffigurate anche da Francesco del Cossa nel suo Giardino d’Amore, parte del Trionfo di Venere a Palazzo Schifanoia a Ferrara – si amassero talmente da non saper vivere separate.
Nell’analisi dei fiori come chiave di lettura della Primavera vale tanto il dettaglio – come la pianta di antirrino, detta anche lanterna della fanciulla utilizzata per l’iniziazione delle giovani donne ai misteri dell’amore, raffigurata sotto la centrale delle Tre Grazie – quanto, a dare il senso dell’ambientazione generale e richiamare il Giardino delle esperidi, la presenza dell’arancio, emblema mediceo e al tempo stesso pianta della sposa. Nonché il luogo-tema del prato fiorito, sul quale Levi D’Ancora si esercita nel dettaglio.
Se, come si ritiene, l’interesse di Botticelli per il simbolismo botanico sembra potersi ricondurre anche alla traduzione in italiano della Storia naturale di Plinio da parte di Cristoforo Landino, pubblicata nel 1476, è dalla combinazione di una serie di piante, in questo caso raffigurate sotto la Grazia di sinistra, – euforbia, giglio e antirrino – che Levi D’Ancora legge un messaggio diretto a chi guarda: “guarda attentamente, affina la mente, vedi la luce”.
Mirella Levi D’Ancona, La Primavera di Botticelli. Un’interpretazione botanica, introduzione di Lucia Tongiorgi Tomasi, pp. 93, € 20.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIV, 11 Supplemento de Il Manifesto del 14 aprile 2024