“Siamo fiori / del mare selvaggio / e della costa rocciosa; / nati tra le onde / in grotte nascoste / quando si quieta la tempesta”. Così, in prima persona, recita una sorta di inno che chiude le ventidue pagine dell’erbario di alghe conservato nella biblioteca dell’università di Basilea e dove attorno al 1851 Eliza French dispose campioni raccolti dall’acqua annotando luogo e data di riferimento.
L’album, come molti altri esemplari che probabilmente l’algologa americana veniva allora realizzando, era destinato ai collezionisti così sensibili all’algomania diffusasi a cavallo dell’800, nel contesto dell’entusiasmo collettivo per la spiaggia, esperienza sensoriale diretta di una natura da praticare non più soltanto come gli osservatori a distanza, del pittoresco.
Se in epoca vittoriana le collezioni di felci imperversano, alghe e conchiglie ne sono degno contrappunto tanto che in una caricatura disegnata per la rivista satirica Punch nel 1856 da John Leech si enfatizza il piglio marziale di un gruppo di collezioniste di alghe attrezzate di tutto punto, chinate a schiera a raccoglierle sulla spiaggia al ritirarsi della marea.
Sul come e perché le alghe, sensuali maestre di seduzione e mistero, accendano l’immaginazione con il loro inesausto fluttuare si interroga l’artista visiva e scrittrice olandese Miek Zwamborn nel suo volumetto per Nottetempo, Alghe. Un ritratto (pp. 182, € 15,00, traduzione di Stefano Musilli). Dove, andando oltre le sue precedenti opere di narrativa, alterna racconti ed esperienze personali con la ricerca inesausta di emergenze letterarie, lessicali, pittoriche, cinematografiche, scientifiche e d’uso, tali che finiscono per produrre una storia culturale sui generis riguardo questi iridescenti organismi vegetali.
Flessibili, prolifici e resilienti come pochi altri, con oltre 10.000 specie diverse, le alghe pervadono tutte le zone climatiche, abitando ambienti instabili, dai tropici ai poli, viaggiando trascinate a riva dalle correnti a volte per settimane senza rispettare limiti e confini.
Classificate come piante inferiori, le alghe vengono divise in sei gruppi principali a seconda del colore – contengono clorofilla ma con pigmenti variabili –, della struttura e del ciclo vitale, verdi, rosse brune, tonalità intermedie, maculate, perforate, traslucide, albine. Sono tra le principali componenti del fitoplancton, costituiscono circa la metà della biomassa marina e producono la maggior parte dell’ossigeno presente nell’atmosfera.
A lungo fondamentali per la dieta degli umani già nelle fasi iniziali del loro sviluppo, come attestato dalle alghe fossili, quelle marine esistono però già da molto prima, 1.7 miliardi di anni. Più di recente, oltre gli usi medicinali (stimolano la circolazione, favoriscono il metabolismo cutaneo, disintossicano l’organismo e ripristinano i livelli di umidità della pelle) e gastronomici (nel libro un’intera sezione è dedicata a ricette) sono state impiegate come materiali – seppur deperibili – per costruire oggetti in molte culture costiere o come materia prima da cui estrarre sali e potassio, per la manutenzione delle dighe (in Olanda dopo la mareggiata del 1775-76, i mucchi di alghe accumulati raggiungevano 2 metri e mezzo di larghezza e oltre 5 in altezza), come pure, in Scozia e nei paesi scandinavi, come foraggio capace di incrementare la produzione di latte per pecore e vacche da condurre sulla spiaggia con la bassa marea. E ancora, venivano utilizzate come barometro, nel caso della Saccarina latissima che, appesa alle pareti, se le lamine rimanevano rigide, significava che nei giorni successivi l’aria sarebbe stata secca, mentre se si ammorbidivano c’era probabilità di pioggia. E via, fino agli usi contemporanei delle alghe nel design, da Julia Lohman progettista e pioniera dell’industria internazionale delle alghe e agli studi della designer Maria Blaisse sulla loro capacità di resistere alla trazione della corrente.
Con l’irlandese William Kilburn, uno dei tre illustratori della Flora londinensis di William Curtis e al tempo stesso stampatore di tessuti, l’attitudine alla classificazione e la tensione dell’illustrazione naturalistica nel disporre gli esemplari di alghe finiscono per riflettersi perfino nel mondo della moda. Nel 1790 Kilburn realizza per la regina Carlotta, moglie di Re Giorgio III, una stoffa a motivi ispirati da un intreccio di alghe in diverse tonalità di viola, trasfondendovi senso di meraviglia ed echi del progresso scientifico
Nella letteratura, oltreché in Oriente dove figurano come simbolo di prosperità, spesso in occasione del nuovo anno e si ritrovano in molte poesie, metafora di desiderio e amore, le alghe fin dal medioevo si affacciano nella figura del pericolo costituito dal mare coagulatum. Che poi, nella testimonianza di Colombo, ostacolerà anche le sue caravelle sulla rotta tra le Canarie e le Bahamas. Ricordate nei puntuali resoconti di Alexander von Humboldt sul Mar dei sargassi, alga dorata che forma foreste galleggianti (e che di recente ha cominciato a proliferare a un ritmo pericoloso per barriere coralline e ecosistemi vegetali), come pure, spesso, in quelli invece di tanti marinai convinti di aver avvistato serpenti marini lunghi decine di metri che si son perlopiù rivelati mostruose matasse di alghe alla deriva.
Evocazioni e raffigurazioni diverse impreziosiscono il volume. Come gli acquerelli su strane piante che crescono tra rocce e scogliere realizzati nel primo cinquecento dall’olandese Adriaen Coenen, commerciante all’ingrosso di pesce e autore di quattro albi consacrati a balene, mammiferi acquatici, pesci e altre creature splendide. O come la scena d’ambiente dedicata da James Clarke Hook alla falciatura e raccolta delle alghe in mare (The Seaweed Raker), 1889, oggi alla Tate di Londra, o, ancora, alle Pêcheuses de goémon ritratte nel 1889 da Gauguin in Bretagna, presso Le Pouldu (collezione privata).
Mentre spiccano su sfondo blu quelle riprese con la tecnica della cianotipia dalla fotografa e botanica Anna Aktins (1799-1871), adagiate sulle pagine immerse nell’acqua il tempo necessario perché il sole che illumina la carta attorno a loro possa fissarne il disegno del contorno, in generale le alghe saranno protagoniste anche di molte pellicole, dal cortometraggio sperimentale del 1929 in 35mm di Ralph Steiner H2O, sulle superfici acquatiche, al film, sempre nello stesso anno, di Jean Epstein Finis terrae, al documentario irlandese, vincitore della Coppa Mussolini come miglior pellicola straniera alla biennale del cinema di Venezia del 34, Man of Aran, diretto da Robert Flaherty.
Bel ciglio, ladra d’ostriche, dita di morto, la scapigliata, denti di forca, capelli d’alga delle sirene, grembiule del diavolo. Morfologie e immaginazione si fondono nei nomi che le alghe assumono nelle diverse lingue. Ed è al dùlamàn, nome irlandese della Pelvetia Canaliculata,che è poi la stessa parola con cui si indica la ballata tradizionale dedicata al fascino delle alghe, che nel 1976 la band musicale folk dei Clannad intitola il suo famoso album.
Una fantasmagoria, questa sulle alghe orchestrata da Miek Zwamborn, dove l’autrice interviene con palpitante, partecipata osservazione diretta. Rilevando tra l’altro come quando grandina sulla spiaggia, per ogni diverso ammasso d’alghe i chicchi riempiendo le cunette della sabbia finiscano per scrivere in caratteri diversi, in stampatello o corsivo.
Nella foresta d’alghe che con lei traversiamo, è sempre un intero paesaggio a muoversi lentamente, tutto insieme
Esempio forse di un mondo ideale – quello dell’interconnessione sottomarina – “dove le specie si tollerano e si offrono a vicenda un appiglio per sopravvivere nella corrente. Pura simbiosi”.
Miek Zwamborn, Alghe. Un ritratto, Nottetempo, pp. 182, € 15,00, traduzione di Stefano Musilli, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIV, 13 Supplemento de Il Manifesto del 28 aprile 2024