Affetto in maniera inguaribile e auspicabilmente contagiosa da quella patologia grave evocata fin dal titolo del suo libro, Il mal di fiori (Maestri di Giardino Editori, pp. 101, € 9,00), Didier Berruyer, vivaista prestato alla scrittura, umanista col marchio dello storico di formazione, autodidatta fino a diventare un “esperto del giardino naturale”, come confessa con dissacrante autoironia, ci introduce con questo testo alla sua visione di un giardino che fa perno sul tempo intermedio delle piante cosiddette perenni.
Termine del gergo giardiniero con il quale certo per iperbole, dato il diffuso difetto di perennità men che mai nei giardini, solitamente si intende riferirsi a quelle erbacee dalle ricche fioriture che di là dal ciclo breve e forsennato delle annuali e bis annuali con varie strategie resistono oltre tale durata ai passaggi stagionali e ai momenti di stress, estivi o invernali. Non quindi le presenze maggiori che solitamente strutturano i giardini, ma quella foltissima schiera di interpreti che variamente lo animano di opportunità compositive e ne arricchiscono la tavolozza con la ricchezza e molteplicità di colori, disegni, taglia, densità, portamento, risonanza alla luce. In un susseguirsi serrato, a staffetta con l’incedere delle stagioni.
Perenni, dette altresì, meno comunemente, in italiano vivaci. Come in francese, vivaces. Consonanza sulla quale insiste fin nel nome – Il giardino vivace – l’intestazione e l’ispirazione del vivaio di Didier, da dove, in Toscana, vicino Lucca, da quasi vent’anni contribuisce, come pure nelle mostre e negli incontri di settore, con le sue proposte e sperimentazioni alla loro introduzione e ancora recente diffusione nel lessico dei giardini, ormai anche in Italia oltre la cerchia degli appassionati. Con la delicatezza che gli consente di avvicinarsi alle cose senza sommergerle e un’attenzione affilata, vivida, l’autore si accompagna alle sue piante dapprima in vivaio dove le sperimenta e quindi, oltre l’estetica della decorazione, nei giardini che realizza. Per poi darcene conto da presso. “Seguo poco le grandi linee guida contemporanee, mi ispiro piuttosto alla morfologia del suolo”. E proprio in questo associare le sue erbacee perenni in dialogo serrato con la flora spontanea, con le beneamate graminacee, selezionandole in base alla resistenza al clima e a altre più intime predilezioni, traspaiono i tratti di un procedere decifrando, traducendo il gioco delle corrispondenze. Un procedere per interrelazioni, reticolarità diversamente, volta a volta, ricombinanti. Con uno sguardo e un respiro educato a protendersi verso il paesaggio, l’autore ci invita a considerare come il colore – gradazioni, sfumature, sfondi e contrappunti – debba “circolare: una pianta deve cioè essere ripresa più volte, da sola o in gruppo, conferendo unità e armonia al tutto”, come la luce, il vento, incidano diversamente di trame e ombre stagioni e ore della giornata, come nella realizzazione di una bordura occorra sì conoscere esigenze, altezze, volumi, fogliami, colori e periodi di fioritura delle piante, ma anche lavorare sulle relazioni, le assenze, le tracce; sul tempo, considerare la durata e governare, integrando o per sottrazione, l’evoluzione, il trascorrere, il movimento.
Didier Berruyer, Il mal di fiori, Maestri di Giardino Editori, pp. 101, € 9,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica III, 47, Supplemento de Il Manifesto del 24 novembre 2013