È “sull’orlo del baratro” di un neocapitalismo globalizzato di stampo finanziario fondato sull’ideologia della crescita illimitata, dove latita ormai ogni automatismo riequilibratore del mercato e gli intrecci di interessi tra grande finanza e politica rendono irrilevante la rappresentanza politica, i cittadini sono ridotti a clienti e merci diventano perfino servizi pubblici e beni comuni, che si profila il ruolo sempre maggiore di contraltare assunto dalla coscienza identitaria dei luoghi come momento di coagulo, di corale consapevolezza del loro valore patrimoniale e come condizione per il diffondersi di forme alternative di produzione e autogoverno.
E proprio sulla dimensione produttiva delle relazioni tra luoghi e comunità, sull’intreccio tra attività economiche e saperi, sensibilità, stili di vita precipitati nelle storie di collettività e territori si è a lungo esercitato il pensiero critico dell’economista non convenzionale Giacomo Becattini.
Con La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale, Donzelli, pp. 222, € 19.50, viene riproposta e argomentata la lunga marcia degli studi economici verso il territorio: oltre l’idea che lo ha a lungo inteso come mero spazio geografico, supporto di attività economiche funzionali alla produzione di massa, con la crisi poi del fordismo e del concetto di coscienza di classe, fino al ritorno di una coscienza dove discrimine identitario risulta proprio il senso di appartenenza alla società dei luoghi. Una coscienza che collettivamente concorre a valorizzare produzioni, saperi e competenze delle comunità abitanti; una «coralità produttiva» dei luoghi e dei beni patrimoniali del territorio in relazione creativa con l’ambiente e in grado di assicurarne nel tempo l’autoriproduzione e l’incremento sostenibile, in una visione dove nell’ordinata utopia critica di Becattini la produzione è orientata al soddisfacimento di bisogni autodeterminati e in definitiva al benessere, alla felicità delle persone.
Utopia affinata, condivisa e interpolata in forma di dialogo a due per buona metà del volume in un Dialogo tra un economista e un urbanista, tra Becattini cioè e l’urbanista-territorialista Alberto Magnaghi. Sotto il titolo Coscienza di classe e coscienza di luogo questo confronto di assunti disciplinari incrocia diversi strumenti interpretativi alla ricerca di una messa a punto e di una prospettiva. Che, di fronte al prevalere di un’impresa transnazionale difficilmente vincolabile a politiche “illuminate” di valorizzazione dei luoghi, è nel proliferare e concorrere di molteplici esperienze di soggetti economici, sociali e culturali in una sorta di federalismo municipale solidale che proceda dal basso, avocando a sé – a fronte di un’omologazione eterodiretta travestita da universalismo – forme di autodeterminazione nel segno della riaffermazione delle identità. Restituendo valore statutario di bene comune al territorio, “soggetto vivente ad alta complessità” dove la società e la cultura incessantemente producono neoecosistemi da progettare e presidiare criticamente, scomponendo la metropoli in reti di città in strette relazioni con il territorio, in un sistema policentrico di bioregioni urbane.
L’utopia attuale di costruire insomma “una, cento, mille coscienze di luogo” è già in marcia con il moltiplicarsi di politiche di sviluppo locale in proiezione globale, nell’esempio delle tante “briciole ammirevoli” delle esperienze di cittadinanza attiva, spesso nate critiche, ma che del conflitto fanno occasione di proposta, innesco progettuale.
Giacomo Becattini, La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale, Donzelli, pp. 222, € 19.50, con un Dialogo tra un economista e un urbanista, e prefazione di Alberto Magnaghi, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica VI, 7, Supplemento de Il Manifesto del 14 febbraio 2016