Che ci si inebri ad ascoltarli nel loro gergo, parlare albero (Prévert), passandosi l’un l’altro il testimone in un’inesausta lettura da mille e una notte (e altrettante e più pagine), o che lo si apra a spacco, casualmente, questo arboreto di testi distillato in trepida, sapiente partecipazione da Mino Petazzini, testimonia, pur nell’irriducibile alterità di questo nostro antico nemico, nuovo amico,di un infinito dialogare e interrogarsi, nell’assonanza e nell’assomigliarsi che ci lega fino all’immedesimazione, all’autoritratto (La poesia degli alberi Un’antologia di testi su alberi, arbusti e qualche rampicante, Sossella editore, pp. 1050, € 30,00).
Stesse le cicatrici della vita (Luzi), quasi non suo, ma nostro esista il tronco / istoriato di nomi e di chimere (Prevert), sfilano gli alberi, con il loro modo lento di guardare e amare, testimoni di un certo tipo di etica, sufficienti a sé stesi. Solitari e solidari, in radura o filare, ma sempre spiccano con le loro fisionomie e fattezze (ombrose), in un bosco che è noi e ci custodisce Il bosco è dentro di me e io dentro quel bosco, / io la meraviglia dell’ombra che cammina sulla schiena del vecchio cinghiale/ io il suo respiro che piange/ io la foglia fradicia l’orma di un piede lo sterco del cerbiatto (Roversi)
Richiamati a costituire interi piccoli paesaggi, affollati anche di animali, uccelli appollaiati, farfalle e pollini, piantati presagendo, gli alberi portano pensieri lungimiranti per il bene comune. Servono per dire di aeree meteorologie interiori, del vento che li abita, dei cieli che si acquietano tra i rami, del marmo delle nubi e del rumore della notte … ma anche dei torti che subiscono, braccati.
Dopo la sezione che li vede indistintamente protagonisti, intitolata al Prologo degli alberi, la parola tocca alle singole specie in alfabeto (76) con arbusti e rampicanti interpellati per via di versi, madrigali, canzoni, indovinelli popolari, con tanto di presentazioni botaniche e percorsi interpretativi tra gli autori convocati dalle diverse letterature, fino a quelle orientali.
Genealogie incrociate di alberi e miti, metamorfosi e trasfigurazioni valgono come richiamo alla terra, all’infanzia, allo scorrere del tempo, al primo amore o alla prima poesia (come per l’Hesse del giovane faggio sanguigno).
E se la terra è un’arancia, a cui somiglianza venne fatto il mondo e la sensualità del fico, da Dioniso a Demetra fa il paio, da Persefone al Cantico dei cantici, col profumo dei grani del melograno, la trama del carrubo che si profila / nuda contro l’azzurro sonnolento (Montale), contempera gli equilibri diagonali del cedro insuperbito, mentre lo slanciato zampillo d’ombra e sogno (Gerardo Diego) dei cipressi che son stanchi d’essere antichi (Emanuel Carnevali) punteggia l’austerità costante degli abeti in cappello a punta/ vestiti di lunghi vesti/ come astrologhi (Apollinaire).
Oltre gli stereotipi del languore e assieme della ferrea presa del glicine, alla moda tra Liberty e Art Nouveau, nonché della pioggia di fiori del ciliegio, dal legno rosso fosse quasi passato alla fiamma, ammicca l’ostinata vitalba …buona solo per farne fascine e faville (Zanzotto) e il sacro, mediterraneo, coronante ramo d’alloro, questa volta evocato dal De Pisis, oltreché poeta, pittore ed erborizzatore, per dirne ben che può servire per l’intingolo della trota.
Mino Petazzini, La poesia degli alberi Un’antologia di testi su alberi, arbusti e qualche rampicante, Sossella editore, pp. 1050, € 30,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XI, 21, Supplemento de Il Manifesto del 30 maggio 2021