Ad accoglierci, di là dal cancello, un incalzante susseguirsi di episodi e sorprese va a comporre il raffinato congegno del giardino della casa estiva del pittore Max Liebermann. Esponente di una facoltosa famiglia ebrea berlinese e figura di primo piano della vita artistica a cavallo tra Otto e Novecento, collezionista dell’impressionismo francese e protagonista lui stesso tra i maggiori di quello tedesco. Nonché, appassionato di giardini, in particolare, del suo. Che per molti anni ritrae, variandone nel tempo la maniera.
Siamo a Wannsee, sul lungolago, nella zona esclusiva a sud di Berlino dove, già a fine secolo, si concentra la colonia di ville e case di campagna di Alse. Nel rifugio degli ultimi decenni di attività di Liebermann, in quello che per lui fu studio a cielo aperto di oltre 7.000 metri quadri e soggetto d’ispirazione per un innumerevole carosello di dipinti, disegni, acquerelli e pastelli (oltre duecento) che a partire dal 1910 per oltre due decenni raffigurano il beneamato giardino.
E, in gran parte, proprio sulla base di questi “ritratti”, spesso ripetuti in serie, nonché della documentazione fotografica e di una fitta corrispondenza, è stato possibile restituire al suo tracciato originale il disegno completamente perduto del giardino della villa, oggi casa-museo.
Nel suo complesso, il suo impianto procede in un incedere serrato, che si dilata però via via di viste larghe, pause, respiri. Il vialetto d’ingresso che spartisce i lussureggianti letti assortiti di fioriture estive e legumi, conducendo alla villa si conclude inchinandosi sotto il filare di alti tigli piantati perpendicolarmente rispetto al percorso, a incorniciare con le loro chiome potate ad arte la facciata in stile neoclassico. In uno iato che separa questo scapigliato primo giardino dal composto piazzale antistante la casa, dove riposa un elegante rettangolo di prato adornato soltanto, ai vertici, con sfere di bosso topiato. Ma, subito oltre, attraverso la loggia e le finestre, lo sguardo intercetta di là dalla casa la Terrazza con bordure in fiore al seguito delle stagioni e il digradare, di là dalle rampe, del prato che costituisce la parte maggiore del vasto appezzamento longitudinale proteso fin nello sciabordare di riflessi del lago. Con il contraltare, però, di una doppia partitura ad accompagnarne l’andamento: sul suo lato sinistro, tre giardini a stanze creati da siepi di carpini e collegati da un sentiero si avviano in una progressione formale di episodi distinti fino al piccolo frutteto e al padiglione sulla riva; mentre sul lato opposto, un drappello di betulle – evocative, assieme, della spontaneità ispiratrice del rigenerarsi di habitat e oggetto di riprese simboliste jugendstil – interseca e invade il viale che finisce all’acqua.
Le ragioni della scelta del luogo si precisano nell’essenza del progetto della residenza estiva. Quella che, affettuosamente, Liebermann chiama il suo Schloss am See (castello sul lago). Una creazione che incorpora insieme giardino e architettura ma, già prima, disegno degli interni e, all’opposto della scala, paesaggio d’intorno.
Commissionando il lavoro, nel 1909 scrive al suo architetto, Paul Otto Baumgarten: “Quando son sulla riva, voglio poter vedere attraverso la casa la parte del giardino che si trova dietro di essa. Mentre davanti sarà sistemato un semplice prato, così da vedere il lago dalle stanze, senza impedimenti. A sinistra e a destra del prato, sentieri dritti”. Il giardino sarà allestito a cura di Albert Brodersen, capo del dipartimento di orticoltura di Berlino, nello stile che al volgere del secolo, anche come reazione alla naturalità indotta della fin lì prevalente moda del giardino paesaggistico all’inglese, recupera nella progettazione segni, forme e geometrie di quello architettonico.
Ma, in una maniera dove la relazione tra esterno e interno che si vuole mediata dal costruito, con logge e terrazzamenti, si ibrida con la progressione che, via via che ci si allontana dall’abitazione, vira dal disegno geometrico alla spontaneità del selvatico. Dove la geometria pulita del giardino e l’essenzialità per simmetria di viste assiali si sfrangia nella profusione di fiori dell’orto e trascolora nell’esuberante protagonismo delle fioriture annuali, ispirandosi all’atmosfera vernacolare dei giardini di campagna del nord della Germania.
E, come si vedrà, una chiave di lettura in tal senso del progetto del giardino – in continuo, dialettico trascorrere di scale e funzioni estetiche, nella sua composizione come poi nello sguardo che la coglie – la forniranno negli anni le raffigurazioni di quest’opera totale da parte di quel Liebermann pittore, che alla sua ideazione e messa a terra giardiniera partecipa in prima persona. Come emerge anche dalla corrispondenza con Alfred Lichtwark, direttore della Kunsthalle di Amburgo ma anche esponente critico del nuovo movimento per la Riforma del giardino. Una temperie inedita dove la ripresa dello stile architettonico con arredi funzionali e proiezione all’esterno delle ragioni dell’abitare si contempera e risolve nel contrasto vibrante di colori del giardino cosiddetto decorativo, anche sotto l’impulso delle piante di quello naturale inglese, di William Robinson e Gertrude Jekyll.
Ma, in questi anni, siamo ormai in una fase avanzata della complessa evoluzione artistica di Liebermann che vedrà la sua pittura farsi vieppiù naturalistica, diventando sempre più libera nel confronto con l’impressionismo, quando, con i primi successi all’estero, si afferma anche in patria: ma, sul versante della Secessione. Fondatore di quella di Berlino nel 1889, trova poi un importante sostenitore, in particolare dei ritratti che gli vengono commissionati da molti noti esponenti della borghesia, proprio in Alfred Lichtwark, della cerchia di Carl e Felicie Bernstein, tramite i quali si era avvicinato al lavoro di Degas e Manet. Degli impressionisti francesi, che anche lui comincia a collezionare, riprende la tavolozza che si illumina nei colori, mentre si volge a motivi come il passeggio tra i viali dei parchi, le gite estive e, in genere, i passatempi dell’alta società, la vita da spiaggia, le vedute di giardini. Su tutti, quello della sua villa a Wannsee che, a partire dal 1910 e poi con la Prima guerra mondiale e le difficoltà di spostarsi all’estero, diverrà il soggetto principale dei suoi dipinti. Fin quando con la presa del potere dei nazisti dovrà ritirarsi del tutto dalla vita pubblica per morire a Berlino nel 1935.
Prima però, come si è detto, per oltre due decenni Liebermann dipingerà ogni parte del giardino – perlopiù disabitato di umani, che non siano le rade apparizioni della nipote bimba con la tata o dei giardinieri al lavoro –, riproponendone più volte, da una medesima o da diverse angolazioni, gli stessi motivi. E se da un lato, di pari passo con il maturare del giardino, sarà evidente l’acquisizione di una sempre maggiore familiarità nei suoi riguardi, che si distende oltre la rigidità delle linee iniziali, in una visione e una mano assieme più ampie nelle campiture e puntuali nel tratto, dense nel colore e leggere nel contrasto di luci; dall’altra, pur nel susseguirsi e ritornare di temi dipinti, si nota il progressivo affermarsi, anche dal punto compositivo, di un qual certo protagonismo vegetale. Nel gioco serrato di una resa, verde su verde, per rigogliose pennellate che si alternano a imitare la struttura del fogliame che riluce, e dell’accendersi dello sbuffo del colore dei fiori, scandito dal ritmo verticale degli steli. E, spesso, nell’assunzione in primo piano del soggetto – vegetale.
Se, nella versione del tema de L’orto a nord-est del 1916 appare ancora netta l’opposizione tra perenni in varietà e resa piana di elementi strutturali, come il fronte della villa e il sentiero, nella versione del 1928, Fiori sulla casa del giardiniere a est, l’enfasi è tutta nell’inclinato progredire in visione ravvicinata della plastica distesa di fiori estivi che occupano i tre quarti del quadro. Mentre, già nel 1925, l’analogo soggetto era trattato dal pittore pressoché ottantenne catturando uno spicchio soltanto del sentiero e, in primissimo piano, il ritmo combinato di infiorescenze e ciuffi di fogliame.
La Terrazza fiorita poi, nelle varianti che la vogliono piantata in primavera con viole gialle e blu e, in estate, con gerani rossi, è forse il soggetto pittorico preferito da Liebermann.
Principio ordinatore – nella regolarità del suo impianto geometrico, in giardino – la Terrazza dei fiori è riproposta su tela per strisce fluide di masse unitarie di colore, quasi sempre, però, inquadrata per frammenti. Ma, come si è detto, principio altresì distributivo, nel giardino, dal domestico al selvatico, è elemento di transizione che volta a volta si declina in pittura: ne La Terrazza fiorita di rossi estivi del 1914 orientata verso nord; o nel suo duplicarsi nella versione a fioritura primaverile, quella di giallo e blu, del 1917, dove l’inquadratura arretra per inserire in primo piano la verticalità di uno scuro torso d’albero a innescare un ideale rimpallo prospettico; oppure, ancora, in variazioni ulteriori, proiettandosi nelle visuali, in direzione opposta, verso i giardini di siepi e il lago.
E qui, la serie delle stanze verdi realizzate in sequenza costituisce di certo l’espressione massima della componente formale che anima in quella fase il dibattito sul progetto del giardino.
Elevate a principio architettonico, le siepi delimitano per via di rigorose forme geometriche diversi spazi segreti.
Dal primo, di impianto quadrato, con al centro un riquadro di dodici tigli, al secondo dove è l’ovale del sentiero a ritagliare il prato, al terzo che racchiude un pergolato di rose con meridiana. Mentre ad antifrasi di questo progressivo disvelarsi di spazi organizzati, sul lato opposto del prato, procede invece in parallelo l’indistinto continuum dei tronchi d betulle, a interrompere il sentiero che conduce anch’esso alle sedute bianche sulla riva.
Ma, per quanto Liebermann pittore proceda sempre guardando “attraverso il giardino”, è invece proprio interrompendone le simmetrie reali e scegliendo inquadrature e angolazioni ravvicinate e decentrate che, nelle raffigurazioni che ne trae, fa sì che l’organicità e il dinamismo della vita vegetale prevalgano sul rigore ideale della forma progettata.
Ancora una volta, allora, nella Rotonda nel giardino racchiuso tra siepi del 1927, l’impianto architettonico sembra così liquefarsi nella sintesi della pennellata dei fiori e fin anche del prato e nelle torsioni del taglio del punto di vista.
In un percorso che, dalla domestica naturalità d’insieme delle raffigurazioni del giardino di stile impressionista sempre più si volge all’estremo di una natura che nella libera vitalità dei sensi sembra quasi farsi astratta, disarticolata per troppa prossimità, la forma rigorosa e le simmetrie del progetto del giardino potevano dunque tornar buone come cornice ideale. Quella per cui il giardino tutto, seppur tagliato quasi fuori campo, si avverte sempre però premere forte dall’esterno del telaio. Così come, la presenza delle panchine bianche si ritrova in molti dipinti a evocare la dialettica tra i diversi elementi del giardino. In un gioco di rimbalzi, a mo’ di enjambement, tra i diversi quadri e i soggetti ritratti, nel corso del tempo.
Oltre la semplificazione di un Liebermann che si attarderebbe in pittura più di quanto non sia aggiornato sul fronte dell’arte del giardino, si può piuttosto dire di una sorta di dispositivo generale, che, escludendo, seleziona senza però nulla perdere dell’insieme di cui è parte. Guardare da presso “attraverso il giardino” per il ravvicinato tramite di una vita vegetale chiamata in primo piano sulla tela quasi a trasferire in colore il palpito di una vita propria, comporta e definisce, consente e induce una complessiva ricomposizione, per viste complementari.
A restituire la cartografia se non la cinetica dell’istante, reso per ogni dipinto da un’occhiata-fotogramma. Quasi si procedesse, per diffrazione di quadri, nel tempo del giardino, camminando.
Un’aspirazione, quella della resa della dimensione quarta, ulteriore, del temporale del movimento, che anche ai tempi di Liebermann già si affaccia da tante avanguardie.
Non troppo diversa da quell’essere a un tempo soggetti di una moltiplicata contemporaneità di campi visivi, punti di vista, luminosità, e in essi immersi in successione temporale.
Che è, in fondo, la quintessenza dell’esperienza totale che talvolta può darsi del giardino.