Piantare alberi facendoci alberi

Con la sorprendente varietà del loro disporsi sulla terra, rendendola ospitale per il resto del vivente, la vertiginosa dimensione temporale del loro abitarla, la progressività del loro infinito accrescimento, gli alberi … creano mondi.

Indispensabili alla vita ben da prima della nostra apparizione, da sempre son stati poi, per noi umani in particolare, benevoli compagni di strada, prodighi di sostegno come nutrici di alimenti, strumentazioni, calore, farmacopea, propellenti, nonché ispiratori di immaginari, fonti di archetipi e intere cosmogonie.

Oggi, a fronte della crisi ambientale di cui in buona misura siamo responsabili, da più parti ci si ricorda come costoro siano ancora una volta indispensabili alleati nelle strategie di contenimento del danno che dobbiamo mettere in atto con urgenza rinnovata.

Così, in una disamina a tutto campo che riprende le fila di dati e considerazioni da diversi ambiti e competenze, Francesco Ferrini e Ludovico Del Vecchio ci raccontano di una evidenza: La Terra salvata dagli alberi, (elliot, pp. 192, € 16,00). Con l’andamento avvolgente di un “mantra verde” che associa informazioni puntuali con una biofilica passione militante ci invitano a sostenere questa salutare prospettiva salvifica, piantando alberi.

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La via dei sensi. Rinascite nel bosco

Talvolta sta soltanto in un’angolazione che varia. Capita, percorrendo a ritroso il sentiero già intrapreso al mattino alla ricerca di funghi. Ed è magari allora che, sotto una luce diversa, ci si avvede al ritorno di quanto all’andata era sfuggito.

Così, il proposito iniziale di Long Litt Woon, di origine malese ma fin dagli anni della giovinezza trapiantata in Norvegia per amore, di narrare, da antropologa, il suo percorso di indagine sul mondo dei funghi e degli appassionati (spesso maniaci) fungaioli – fino al suo entrarne a far parte, esperito il rito di passaggio dell’esame da ispettrice –, si raddoppia in un’esplorazione in parallelo del nesso che intreccia questo partecipato indagare micologico con quello dell’elaborazione del lutto cadutole addosso con l’improvvisa morte del marito.

Dall’anestesia iniziale alle contabilità della perdita, dal limbo del vuoto di parola al progressivo ricomporre le tessere fino al darsi nuove ragioni di vita La via del bosco è allora come recita il sottotitolo Una storia di lutto, funghi e rinascita (traduzione di Alessandro Storti, Iperborea, pp. 272, € 18,50). Che procede per associazioni e risonanze, dal seminterrato del Museo di storia naturale presso i giardini botanici di Oslo dove l’incerta principiante intraprende il corso di micologia fino alla condivisione procedurale dei gesti che attivano e affinano il sesto senso, per i funghi. Lo scandagliare il terreno che, dimentichi di tutto quanto è attorno, riattiva l’istinto del cacciatore-raccoglitore, tra impulso primordiale del fare scorta e gioia della scoperta cumulativa, introduce poi a un’esperienza tattile e sensoriale che dal chinarsi sul fungo per esaminarlo con la lente, capovolgendolo e annusandolo, procede alla sua meditativa, accorta ripulitura.

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Funghi come creature queer

Maestri nell’arte di porsi in relazione, di (quasi) tutto metabolizzare, creatori e rigeneratori di interi ecosistemi, i funghi ci circondano per ogni dove. Dai fondali marini ai ghiacci dell’Antartide alle viscere del nostro corpo, dagli usi alimentari alla farmacopea, ben oltre l’immagine convenzionale del loro corpo fruttifero che fuoriesce dalla terra per disperdere le spore.

Prolifici e onnipresenti, oltreché additarci una serie di millenarie soluzioni evolutive, che hanno creato il nostro mondo, ci sorprendono e disorientano con la loro estrema variabilità, il continuo rimodellarsi nel flusso di interazioni che li caratterizza.

Spore, miceli, ife, decompositori del legno, reti di micorizze che plasmano l’universo vegetale, collegando fisicamente le piante – tra fungo e radice – in una rete sociale, enigmi viventi in collaborazione tra regni, come i licheni, tra fungo e alga, lieviti che tra barili e vasetti, attivando la fermentazione si son fatti motore della sedentarizzazione, il composito consorzio dei funghi è fatto al contempo di manipolatori del comportamento animale, dagli insetti all’alterazione nostra di coscienza per allucinazione, di scompositori e  degradatori degli inquinanti, di generatori di materiali da costruzione a partire dal micelio, mobili, imballaggi, fino alle soglie della micoarchitettura.

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Feulleitton con bulbosa

A voler inseguire le tracce di una pianta – le traversie del come dal suo habitat d’origine sia arrivata nei giardini secondo il succedersi di gusti e mode orticole, il precisarsi del suo profilo botanico, il modularsi dei suoi caratteri ad assecondare le umane aspirazioni di collezionisti e ibridatori – capita spesso che trasversalmente s’incrocino geografie remote e divenire per balzi tra personaggi eccentrici e snodi temporali, echi mitologici e riverberi letterari.

Si dà il caso così che una singolare ricerca botanica divenga occasione per inanellare digressioni sapientemente modulate sul ritmo del feuilletton, protagonista la Nerina sarniensis, una bulbosa della famiglia delle Amaryllidaceae, originarie perlopiù dell’Africa Australe. Citato già – erroneamente – nel 1635 come Narcisuss Japonicus rutilo flore (per il colore rosso acceso), questo fiore di fiori, caratteristico per lo scintillio dei tepali, è al centro dell’indagine di Francesco Soletti, La nerina del marchese. Sulle tracce di un fiore perduto, edizioni l’Erta, pp. 192, € 18,00.

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La trama delle rose

È un universo di fascinazioni estreme quello del mondo delle rose. Meglio, della relazione che lega rose e noi umani. Di incantamenti che ci piacerebbe presumere reciproci. Una relazione sotto il segno, forse più che con qualsiasi altra pianta, della demiurgica ricerca della variabilità. Una relazione che vede protagonisti nella storia uomini e donne appassionati, spesso fino alla mania. Alla ricerca inesausta di esemplari dai caratteri sempre nuovi, semine, incroci, ibridazioni. A perseguire le declinazioni infinite che soltanto sopporta e consente una ben salda fisionomia, quella della rosa, che proprio in questa relazione si è fatta imprescindibile. Imponendosi come centralità in quasi ogni cultura del fiore. Dalla corporalità del suo infinito variare per colori, portamenti, profumi alla figuralità con cui traversa immaginari e universi simbolici.

A ripercorrere la fitta trama di questa relazione, orchestrando un’affollata rassegna di caratteri, umani e vegetali, ritratti sempre con felice complicità in un appassionante procedere di innesti, divagazioni, riprese ci guida ora Il romanzo della rosa. Storie di un fiore, add editore, pp. 235, € 16,00 di Anna Peyron.

Decana e interprete del magistero di quel fiore, fattasi vivaista a partire da un’esperienza di gallerista d’arte contemporanea, dove per entrambe le figure il lavoro, culturale, è, come ci suggerisce con l’analogia tra piante e artisti, nel discriminarne il valore, Anna Peyron mette in fila i capitoli di quella che, in controluce, risulta anche un’interessante storia sociale e del gusto … della rosa.

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Coreografia verde

In un ininterrotto fluire di pensiero sul giardino come viatico, come modo infinito, sempre incompiuto, per nascere al mondo, Xavier Mouginet mette in scena la coreografia verde della mirabolante ricchezza di vita e assieme della frenesia di desideri che quel suo giardino – ideale e reale – affollano e animano.

Far parlare le piante e seguirne il ritmo tra eccessi d’impeto e discrezione tutta vegetale, dialogare con il tempo per sospendere invece quanto stà d’attorno, isolare il pensiero esaltando i sensi, liberare entusiasmi d’infanzia frequentando umiltà e rassegnazione nella sconfitta, osare l’ardire d’esser creatore.

Per lui la tentazione del giardino è racchiusa nell’incessante tensione tra quel luogo ben preciso che esso ritaglia nel pur sempre inaddomesticabile paesaggio, circoscrivendo e consacrando (far giardino è questione di geografia), e la dimensione dell’altrove, del viaggio che inevitabilmente evoca (La tentazione del giardino. Piccolo florilegio sull’arte di coltivare i piaceri verdi, Ediciclo editore, pp. 96, € 9.50). 

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Andirivieni di ciliegi ornamentali

Tra Gran Bretagna e Giappone, la vicenda della diffusione in andirivieni dei ciliegi ornamentali che si distende a coprire buona parte del secolo scorso ripropone, all’incrocio tra storia sociale e del gusto, il filo rosso della fondativa dialettica tra omogeneità e varietà, uniformità e diversificazione.

A cavallo tra indagine botanico sociologica e ricognizione biografica Naoko Abe la racconta nel suo Passione sakura. La storia dei ciliegi ornamentali giapponesi e dell’uomo che li ha salvati, Bollati Boringhieri, pp. 406, € 18,50.

Da un lato, la millenaria tradizione giapponese che voleva la contemplazione rituale dei ciliegi (hanami, da hana “fiore” e mi “vedere”) all’insegna di una multiforme diversità subisce un repentino stravolgimento nel senso della riduzione della varietà nelle forme, nei colori, nelle fragranze, nei diversi tempi di fioritura di specie, selvatiche e coltivate, provenienti dalle diverse aree e climi dell’arcipelago, a vantaggio del diffondersi pervasivo e omologante dei cloni di un’unica varietà nota come Somey-yoshino: molto appariscente,a basso costo, crescita rapida e di facile effetto, dalla fioritura concentrata nel mese di aprile.

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I Giardini racconto di Paolo Villa

Ben oltre la presentazione del lavoro di un protagonista dell’architettura dei giardini in Italia com’era Paolo Villa, questo libro-omaggio ripropone la dialettica tra il suo sguardo sul paesaggio, l’attitudine a leggerne i profili, interpretarne le tracce, e il segno che vi imprime con le sue creazioni, giardini che si costituiscono in racconto. Storie di giardini. Garden stories. Lago Maggiore, Rizzoli, pp. 240, € 40,00 è appunto un libro di schizzi dal suo taccuino di lavoro, nonché palinsesto di osservazioni, riflessioni, fotografie, pensieri che, messi in fila assieme, quel racconto servivano intanto a mettere a fuoco, impostare, alimentare e oggi a testimoniare, consentendoci di ripercorrerlo.

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Ambientalismo. Un libro di libri

È davvero una rivoluzione dello sguardo sul mondo quel cambio radicale di attitudine rispetto al modo di abitarlo che va sotto il termine omnibus di ambientalismo. Un processo dal carattere trasversale rispetto a ideologie politiche, competenze disciplinari, soggetti coinvolti, e via via pervasivo quanto a forme di analisi e proposta dalla presa di consapevolezza alla mobilitazione da parte di singoli, organizzazioni, istituzioni. Un processo in movimento entro cui siamo immersi, che nella sua fase più recente data agli ultimi sessant’anni e del quale Stefano Nespor, esperto di diritto dell’ambiente, sceglie di restituirci il racconto articolandolo in un libro di libri: individuando cioè come pre testo cinque titoli che al loro apparire hanno costituito altrettanti momenti di snodo e sintesi nel succedersi e incrociarsi di temi, azioni, soggettività.

Dall’atto di nascita costituito nel 1962 da Primavera silenziosa, indagine in forma di letteratura naturalistica di Rachel Carson, al libro, poi documentario premiato con l’Oscar, di Al Gore Una scomoda verità (2006), passando per contributi scientifici come quello dedicato ai limiti della crescita dai ricercatori del MIT (1971), al Rapporto Brundtland delle Nazioni Unite su Il nostro comune futuro (1987), agli studi sul rilievo dei modelli di gestione policentrica e tutela collettiva delle risorse naturali nella logica di beni comuni vecchi e nuovi tra i quali quelli immateriali e della conoscenza e quindi di un’attiva, quotidiana, partecipazione alla soluzione dei problemi del clima (Governare i beni collettivi, 1990, del premio Nobel Elinor Ostrom).

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Diritti per le piante

A fronte del sempre più evidente disvelarsi della vita come un coevolutivo continuum di soggetti interconnessi siamo indotti a ogni passo a rivedere la convinzione della presunta supremazia dell’uomo sul resto della natura (del suo punto di vista, dei suoi interessi).

Così, nel riverberare questa dialettica entro quel sistema di valori in perenne evoluzione, il modello di un ideale di società cui tendiamo regolato dall’’etica e dal diritto, ecco l’affacciarsi sul piano teoretico, seppur con evidenti risvolti pratici, di un tema tanto urgente quanto all’apparenza provocatorio: prevedere e definire specifici “diritti delle piante”, tipici del mondo vegetale, da rivendicarsi nel più ampio quadro di quel complesso di norme con cui cerchiamo di regolare e mediare interessi diversi.

In questo processo ci aiuta la graduale presa di consapevolezza di come, pur tra sostanziali somiglianze che specialmente a livello biologico, cellulare e nel Dna, condividiamo con le altre specie, una radicale divergenza evolutiva ci divida, in quanto animali, dalle piante, nel senso della mobilità rispetto alla stanzialità (con tutte le conseguenze del caso).

E di come la nostra grande ignoranza del mondo vegetale necessiti uno sguardo compensatorio, capace di intenderle non più come “risorse”, magari brevettabili, ma come esseri viventi e senzienti, soggetti di vita e di diritto.

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