Approntare un erbario significa operare per piccoli gesti – raccogliere, descrivere, pressare “foglie infilate tra due fogli” – nell’aspirazione tuttavia universale a identificare costanti nell’infinita varietà del vivente, pretendendo di fissarne la complessità in un istante, per riesumarla in ogni momento, come in una sorta di macchina del tempo.
Un anelito conoscitivo che accomuna botanici di ogni epoca che, come in una sorta di staffetta tra i secoli, si incaricano di riordinare e ribattezzare le piante mossi da una passione che trova linfa nell’osservazione minuziosa e nell’attenzione distribuita al contesto.
Un anelito di cui Marc Jeanson, botanico dall’esperienza pirotecnica, responsabile neanche quarantenne dell’Erbario del Museo nazionale di Storia naturale di Parigi, ci racconta e traccia l’elogio insieme alla giornalista Charlotte Fauve (Il botanista Corbaccio, pp. 219, € 16.00).
Con scrittura corsara, tra memoria biografica e diario d’avventura, considerazioni attuali su conoscenza e conservazione della biodiversità si intrecciano con l’evocazione di epoche e protagonisti remoti e recenti a partire dalla storia e dallo spirito di un luogo.
Perché quando, confluendo con altri, l’erbario diventa raccolta di erbari, finisce per assomigliare a una sorta di torre di Babele vegetale dove gli esemplari delle specie rinvenute in anni e luoghi remoti e le descrizioni predisposte dai botanici riverberano l’eco di avventurose esperienze, emozioni, predilezioni, ossessioni.
Così, in un severo edificio di quattro piani dietro il Jardin des Plantes, gli otto milioni di campioni dell’Erbario nazionale documentano 350 anni di imprese e conoscenze botaniche.
Ché se fino al XVI secolo i vegetali conosciuti erano qualche migliaio, rapidamente aumentano poi a decine di migliaia con l’apertura d’orizzonti dei grandi viaggi di esplorazione e il correlato sfruttamento coloniale di risorse che pure occorre inventariare per governare valori e risorse dai nuovi territori. Finché oggi le piante vascolari note si attestano attorno alle 400.000.
Pur tenendosi a distanza dalla nostalgia, Jeanson descrive il travaglio del recente restauro dell’Erbario imposto dalla modernità di tecniche di raccolta e conservazione. Quando corridoi ingombri di esuberanti faldoni impilati fino al soffitto, zeppi di etichette e determinatori, han ceduto il passo a un nuovo ordine a rischio di asetticità e frammentazione estrema. In un libro che si vuole soprattutto un omaggio ai tanti predecessori convocati in quel luogo, dei quali, rileggendo gli erbari, ripercorrere i passi. Da Michel Adanson che tramite le sue raccolte cerca di raccontare la totalità del mondo, a Philibert Commerson, con il suo approccio antiornamentale in un erbario di sole foglie, al mistero di quello multicolore di Léon Mercurin, ispettore delle poste che con un procedimento il cui segreto porterà con sé nella tomba riesce a conservare le tinte di fiori che non sbiadiscono.
Marc Jeanson e Charlotte Fauve, Il botanista, Corbaccio, pp. 219, € 16.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica IX, 48, Supplemento de Il Manifesto dell’8 dicembre 2019