Ci sono libri che vengono dalla pratica. E che alla pratica tendono a ritornare. In questo caso si tratta dell’invito all’azione ne L’arte collettiva di coltivare giardini, come recita il sottotitolo del volume di Pablo Georgieff, artista, paesaggista e fondatore del collettivo Colocò che da anni si occupa di giardini come spazi sociali, anche sull’onda della ventennale collaborazione con il maestro e mentore Gilles Clément.
Una pratica che da ultimo si è dispiegata nel progetto Diventare giardino, ora in opera nel quartiere ZEN di Palermo e proposta tra le più significative dell’appena conclusa Manifesta, biennale d’arte contemporanea, quest’anno intitolata non a caso al Giardino Planetario. Coltivando coesistenze.
Ma come si fa a raccontare “un’azione in giardino” che include l’indecisione e ricerca l’imprevedibile in equilibrio, che si può immaginare soltanto ogni volta che accade e soltanto durante? Un’azione che è la risultante sempre diversa di mille variabili interrelate: il luogo che si fa giardino; il collettivo degli umani che lì incrociamo; l’incrocio con il vivente che lo abita; il nostro singolarissimo, irriducibile desiderare che non può però che farsi collettivo nel confronto tra diversi?
Il fuoco sta proprio in un incrementale andirivieni tra pensiero e agire, utopia concreta e tentativo di dar conto di esperienze di “sprogettazione”, uno dei tanti neologismi cui ci abitua l’autore che tende a ribaltare il discorso sulla forma, sul progetto – capisaldi invece del pensiero dell’architettura del paesaggio e del giardino. La proposta di Georgieff più che un metodo è un invito a indossare un’Attitudine. Un invito allo spaesamento e insieme a porre attenzione, integrando segni, variabili in un flusso di pluralità. Nella consapevolezza quindi che il progetto dell’architetto è, come direbbe lo sguardo dell’antropologo, solo una delle cosmogonie possibili. E stando però accorti a che anche quest’Attitudine non rischi essa pure di costituirsi in cosmogonia.
E qui viene fortunatamente in aiuto l’esplicito ibridarsi della proposta con l’arte che, oltre il singolare, nella sua dimensione collettiva, sociale, sganghera e ricompone indefinitamente regole e retoriche delle nostre letture “disciplinari”.
Canalizzando il flusso di energia che attraversa il gruppo, il suggerimento è allora orientare il gesto artistico e la composizione formale verso una comprensione delle dinamiche proprie degli esseri viventi, per immaginare poi una maniera di accompagnarle.
Un agire lieve. Comunque una poiesis che non può che essere operativa e operativamente fa e indica un approccio etico politico al paesaggio.
La poetica della zappa del volume di Georgieff (Deriveapprodi, pp. 144, € 15, traduzione dal francese di Flavia De Luca) è un fare diretto e un fare morale. Atto politico teso a disegnare un’alternativa. Trasformando uno spazio, trasformare la società. Perché l’obiettivo di questo tipo di giardini che sono essi stessi il fare insieme è la costruzione del bene comune. Da intendersi specialmente come “attività performativa collettiva inserita nello scorrere del tempo”.
Pablo Georgieff, La poetica della zappa. L’arte collettiva di coltivare giardini, traduzione dal francese di Flavia De Luca, Deriveapprodi, pp. 144, € 15,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica VIII, 46, Supplemento de Il Manifesto del 18 novembre 2018.