A scorrerle in rapida successione, le pagine del sontuoso volume dove Alberta Campitelli torna finalmente a fare punto sulla vicenda dei Giardini Vaticani, dispiegano sotto i nostri occhi, come in una fantasmagorica visione accelerata, il racconto della straordinaria vicenda che in quello spazio tutto sommato ristretto vide il concentrarsi e succedersi di una molteplice varietà di aree verdi e giardini di delizia, il loro mirabile disporsi nei secoli, sovrapporsi, cancellarsi e ricombinarsi in un metastorico giardino di giardini.
In quel contesto così profondamente condizionato dalle specificità, anche simboliche, dei luoghi nonché dall’impervio andamento irregolare del terreno, conchiuso, sempre in relazione stretta con gli edifici del culto e i palazzi Apostolici, e aperto, anche come modello, oltre le prospettive e i paesaggi della città eterna, l’indagine dedicata a Gli Horti dei papi. I Giardini vaticani dal Medioevo al Novecento, Jaca Book, pp. 356, € 50.00procedecon il doppio passo del tempo lungo – che dal Medioevo giunge fino alle più recenti sistemazioni novecentesche – e nel succedersi serrato dei diversi protagonismi, personalità, famiglie, committenze e programmi che si avvicendano sul soglio pontificio. Nonché dei relativi, alterni interessi e delle diverse attenzioni che volta a volta vengono riservate al giardino nelle sue molteplici valenze, simbolico-religiose, politiche e di rappresentanza, morali, artistiche, medico botaniche e di delizia, produttive.
Per forza di incursioni documentarie e rivisitazioni interpretative Alberta Campitelli torna a metter ordine sui tanti, diversi temi di questa così nota ma poco studiata vicenda. Episodi, invenzioni e soluzioni che in questi ambiti hanno anticipato modelli, fissato stilemi e accompagnato l’evoluzione del gusto vengono così ordinati e riproposti, letti a ritroso, a mo’ di palinsesto, discriminando sovrapposizioni e stratigrafie, evidenziando singolarità, relazioni, continuità, enucleando temi.
A partire dalla seminale sistemazione dello spazio tra il Belvedere e il Palazzo nel giardino architettonico con terrazzamenti ideato a opera di Bramante e completato poi da Pirro Ligorio, dove, reinterpretando modelli classici, un cortile articolato in tre livelli collega spazi, edifici e prospettive in un unitario sistema di terrazze e assomma in sé le funzioni di giardino, teatro per tornei e naumachie, museo all’aperto per la collezione antiquaria del pontefice Giulio II, fino al cortile delle statue con grotta-fontana. Mentre si fa risaltare come attorno al fulcro del cortile ellittico dove si impernia il sistema di padiglioni e logge aperto su tutti i lati della Casina pensata per Pio IV da Pirro Ligorio, le decorazioni in esterno con stucchi e mosaici, iscrizioni, conchiglie e tartari – materiali e tecniche solitamente riservati agli interni –, restituiscano alla luce, all’aria e ai riflessi dell’acqua della peschiera la trascrizione del suo programma iconografico, illuminandone l’affollata simbologia dai tratti spesso paganeggianti e destinati a subire diversi interventi moralizzatori.
Soffermandosi poi in più occasioni sul rilievo delle presenze vegetali in Vaticano, con il protagonismo a lungo caratterizzante di agrumi, a spalliera e in vaso, e sempre al centro di molte, costose attenzioni, l’autrice evidenzia l’esistenza qui di un giardino dei semplici fin dal Medioevo. Poi orto botanico rimarchevole nel contributo offerto allo sviluppo di quegli studi tra Cinquecento e prima metà del Seicento, con interruzioni e riprese, e specialmente poi con l’intervento nella vicenda della figura di Johannes Faber, a lungo responsabile dei giardini, e che li porrà al centro di un’attiva rete di scambi tra studiosi, nunzi e collezionisti di fiori rari ed esotici. E ancora, la rinnovata, breve, esperienza a fine Settecento di un altro orto botanico, dopo lo spostamento al Gianicolo di quello originario, l’Orto Indico-Vaticano (dedicato alle piante non mediterranee) del primo linneiano d’Italia, Luigi Filippo Gilli.
Così, a più riprese, il ripetuto spostamento dell’asse dei giardini sarà una delle costanti sempre da riconsiderare nella disposizione di funzioni e spazi. Assieme alla dialettica tra quanto di più formale e monumentale risulta in quelli di delizia, situati nell’area superiore entro il recinto delle mura Leonine, e quel che, oltre e a cavallo, verso i Palazzi e nei pressi della Basilica, si ritrova di più libero, piuttosto agreste e dal carattere fin anche produttivo. A partire dal dislocarsi di nuovi spazi esterni di rappresentanza, distanti dal primitivo giardino addossato ai Palazzi Vaticani, verso la più elevata posizione del Belvedere – con l’inedita tipologia del loggiato al pian terreno, a mediare direttamente il rapporto tra interno e esterno –, poi verso i giardini segreti di Paolo III, e nel defilato artificio manierista della Casina o Villa Pia. Per tornare all’area più vicina ai Palazzi e alla Basilica (di cui nel frattempo si compie la facciata), riorientando percorsi e prospettive soltanto con il seicentesco disseminarli di scenografici fondali dal gusto barocco, in forma di monumentali fontane in itinerario, nella serie commissionata da quel Paolo V Borghese con cui si conclude la grande stagione dei giardini vaticani.
Da allora, per tre secoli – con la desistenza d’attenzione per i giardini da parte di molti pontefici che al Vaticano prediligeranno il Quirinale o le ville suburbane, mentre nasce l’attenzione per la resistenza estiva di Castel Gandolfo (cui, in coda al volume, è dedicato un capitolo d’appendice) –, l’impianto storico seicentesco dei giardini non varierà di molto, se non per alcune, limitate concessioni, ispirate alle mode che si susseguono, dal gusto neoclassico, nel modificato fondale della Fontana della Galera, con Pio VI alle tardive naturalizzazioni all’inglese introdotte per volere di Gregorio XVI, specialmente nel bosco sulla collina, che dissemina di sculture, cippi, urne e fin anco una finta rovina, vialetti tortuosi e uno specchio d’acqua dai contorni irregolari con ponticello.
Ulteriormente rimarcata, persiste nel corso dell’Ottocento e si accentua la compresenza di appezzamenti produttivi oltre le mura leonine e di aree di delizia dedicate al decoro, e qui l’avvicendarsi di componenti formali e informali, dove la geometria di viali e aiuole si alterna con la sinuosità di sentieri e boschetti. E se nel corso del secolo diverse testimonianze restituiscono ancora per l’area a verde del Vaticano un’immagine composita, promiscua di parco agreste, punteggiato di diverse emergenze storiche, dimesso e pittoresco a un tempo, una forte riduzione del settore adibito a colture, con la creazione di nuovi giardini e il ripensamento dei vecchi si avrà invece con le risistemazioni che dopo l’Unità d’Italia e con il Concordato vedranno enormi sbancamenti e il moltiplicarsi, per le nuove funzioni, della costruzione di monumentali, paludati edifici di gusto neoclassico. Un profondo cambiamento nel segno del revival formale del cosiddetto giardino all’italiana, con aiuole squadrate e scomparti di bosso.
Assieme con l’introduzione di nuove piante, serre, un roseto (e invece la conferma della quasi scomparsa degli agrumi), saranno così le recenti inedite ed eclettiche sistemazioni novecentesche a segnare l’attuale immagine dei giardini vaticani, adagiata sui pochi residui frammenti e sulle tracce della loro celebrata vicenda.
Lungo l’intero scorrere del volume, immagini, fonti e documenti si affollano in ricca schiera occhieggiando complici tra le pagine, acutamente convocati a puntellare passo passo l’individuazione di costanti e dissonanze, nodi e temi suggeriti.
Dai continui, puntuali e gustosi, fin nei dettagli, riscontri cartografici alla lettura in controluce di mandati di pagamento per quei protagonisti certo non minori del giardino che sono giardinieri e artigiani; dalle diverse descrizioni in soggettiva, nel corso dei secoli, di visitatori più o meno illustri transitati nei giardini alle testimonianze della loro frequentazione assidua da parte di (alcuni) papi; dalle contabilità di scambi di semi, piante e cipolle (i bulbi ornamentali) al ruolo delle logge affrescate con paesaggi del primo casino al Belvedere, alla celebrazione in due cicli di affreschi dell’impresa della messa in opera delle nuove fontane di papa Paolo V; dai rendiconti di spesa per l’acquisto di materiali e interventi di riparazione alle illustrazioni botaniche segno del convergere di arte e scienza.
Prorompe così a contrappunto e prende forma dal volume quel brulicare di vita, idee, protagonismi (anche vegetali), temporalità, contraddizioni, manutenzioni che è dei giardini e sempre ne riafferma la vitalità, anche nei libri che li raccontano, e ben oltre il ridotto dei soliti, imprescindibili, aspetti formali, di decoro e monumentali.
Alberta Campitelli, Gli Horti dei papi. I Giardini vaticani dal Medioevo al Novecento, Jaca Book, pp. 356, € 50.00 recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XI, 17, Supplemento de Il Manifesto del 25 aprile 2021