Scritto com’è a ridosso delle forti gelate dell’inverno del 1979, dei disastrosi effetti immediati sul giardino, come dei suoi esiti di progressiva rinascita, il libro che Lavinia Taverna dedica nel 1982 ai suoi Giardini della Landriana (a Tor San Lorenzo, non lontano dal mare, a pochi chilometri da Roma), testimonia di quello scambio “tra il carattere proprio delle piante e il desiderio dell’uomo, il suo disegno di bellezza”, dell’unione donde “scaturisce il pensiero nascosto di ogni giardino”. Apparso allora nella collana dell’Ornitorinco diretta da Ippolito Pizzetti e ora ristampato da Pendragon, Un giardino mediterraneo (pp. 310 є 20.00) racconta proprio del suo farsi luogo come esito di questo andirivieni di interazioni. Ma nel volume resta soltanto labile la traccia del fondamentale segno imposto dal paesaggista inglese Russell Page là dove quasi “non esisteva un paesaggio dove inserirsi” – quel segno che pure l’autrice comprova in esordio di volume segnalando come “la gratitudine per Russell Page segue queste pagine come un sotterraneo filo conduttore”. Mentre invece, le vere testimoni protagoniste di questo testo sono le piante. Scovate e riscoperte nei diversi mediterranei per essere messe alla prova in questo nostro clima. Investigate dall’inesausta curiosità, passione, quindi competenza orticola dell’autrice. Nei cataloghi dei produttori, selezionate magari in base ad un nome, “portatore di chissà quali meraviglie”, o in ragione della loro singolarità, per sottrarle ad un destino d’oblio (uno degli scopi del giardino). Da un iniziale loro caotico accumulo nell’anelito da collezionista, all’affinamento nel gioco delle associazioni ordinate nel disegno formale progettato da Page. Sempre con un’attenzione individua per le essenze: dalla personalità intensa dell’albicocco o dall’indole coraggiosa del mandorlo o volubile della Choisya, all’apprezzamento per le bellezze tardive del ciliegio autunnale, all’ombra leggera, protettiva, dell’olivo. Con il precisarsi di alcune inclinazioni che tra intuito e esperienze maturate nel confronto con i successivi interventi del maestro paesaggista si fanno scelte stilistiche (dal ricorso alle potature, all’uso delle tappezzanti, dalla predilezione per le bordure di fogliame, i piccoli arbusti che stabilizzano gli spazi, …). Continuamente ripensati negli anni dalla sua creatrice (scomparsa nel 1997), i giardini della Landriana, aperti al pubblico dei visitatori, diventano due volte l’anno teatro di una delle importanti (ormai numerose) mostre mercato del giardinaggio di qualità dove, con il loro lavoro di ricerca settoriale, espositori specializzati contribuiscono a elevare una sensibilità e cultura orticola tuttora in Italia piuttosto ritardataria. E a tal proposito, merita sempre tornare a far visita al giardino di Lavinia Taverna e a quelle singolari presenze da lei individualmente narrate, per ripassarne il carattere e fissare a mente fisionomie, auspicando risolto il caso della “scomparsa misteriosa delle etichette” identificative delle piante che tanto la tormentava.
Laviania Taverna, Un giardino mediterraneo, Pendragon pp. 310 є 20.00 , recensito daAndrea Di Salvo su Alias Supplemento de Il Manifesto del 29 ottobre 2011