Oltreché luogo condiviso per le fantasie di ciascuno, catalizzatore di timori, aspirazioni e immaginari, incubatore di un cosmico sentire religioso trasversale a culture e civiltà, il bosco è un organismo complesso. In incessante mutamento, esito di un armonico combinarsi di competizioni e simbiosi, in una scala e dimensione temporale che talmente ci trascende da indurci a un continuo riconfigurare lo sguardo tra inattingibili visioni d’insieme e la fascinazione di singolari incontri individuali.
Su questa avvincente complessità, nel fiorire della tanta pubblicistica dedicata agli alberi, ecco ora a restituire il punto di vista e le competenze del forestale il volume di Daniele Zovi, Alberi sapienti, antiche foreste. Come guardare, ascoltare e avere cura del bosco, UTET, pp. 304, € 20. Dove, oltre a condividere con il lettore affilati sguardi misuratori, informazioni puntuali, colonne sonore e confini musicali di una sua personale mappa affettiva (anche fotografica, con un ricco corredo di immagini a pagina piena) delle foreste (quasi) vergini in Italia e di quelle antiche d’Europa, Zovi ci dà conto della recente, seppure a tratti ancora maldigerita, rivoluzione culturale che traversa sensibilità e saperi forestali.
Una nuova visione del bosco come insieme di elementi e variabili ad alta complessità da accompagnare nella loro evoluzione verso forme sempre più naturali e restitutive. Considerando come dopo 6000 anni di selvicoltura abbia poco senso parlare di foreste vergini e come specialmente in Occidente l’intervento umano, ispirandosi a massimizzare la produttività delle foreste in una logica di sfruttamento intensivo, abbia teso a ridurre i boschi a fragili, geometriche compagini monospecifiche spesso tutte coetanee, e indicando come invece occorra oramai recuperare il rilievo di componenti come il sottobosco, delle radure come raccordi di biodiversità, delle esigenze della fauna, del tema della compensazione, anche per il tramite del legno degli alberi morti, nel ciclo vitale della foresta.
Con il procedere di un racconto che incrocia luoghi e temi, si affiancano così dal vivo osservazioni sulla fisionomia della chioma, il disporsi delle foglie secondo strategie orientate al “senso della luce”; come pure storie che narrano della scelta dei “legni di risonanza” con i quali si realizzano i violini migliori; o di usi che dalle foreste degli inchiostri derivati dalle galle rinviano fino all’inavvertita presenza sommersa delle palificate di milioni di tronchi mineralizzati che reggono le fondazioni di Venezia. In alternanza serrata tra una pervasiva implicazione con il mondo vegetale e la sostanziale nostra ignoranza riguardo le capacità dei grandi alberi associati di attuare strategie, avere una vita sociale, sentire la luce, la gravità, i ritmi del germinare, i tempi dei cicli, gli scambi di cortesie tra le chiome e tra funghi e radici, sempre più va chiarendosi come una conoscenza dei tasselli di quel mosaico di presenze in relazione che costituisce il bosco sia per noi presupposto d’intimità per cominciare a saper qualcosa di quel molto che gli alberi sanno.
Daniele Zovi, Alberi sapienti, antiche foreste. Come guardare, ascoltare e avere cura del bosco, UTET, pp. 304, € 20, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica IX, 21, Supplemento de Il Manifesto del 26 maggio 2019