Spazio reale o trasfigurato in proiezioni ideali, innesco narrativo o teatro d’iniziazioni, protagonista primo o aggregatore di caratteri e simbologie, volta a volta o in sintesi plurale, il giardino si fa largo nella sua proiezione in scrittura tra le pagine in florilegio di oltre cinquanta tra prosatori e poeti italiani convocati da Guido Davico Bonino nel suo volumetto ora riproposto per il Saggiatore La felicità è nel giardino (pp. 184, € 16,00). Impreziosito dal corredo di illustrazioni Art nouveau di iris, nasturzi e lillà ma anche glicini, ninfee e perfino zucchette decorative raccolte nel 1896 da Eugène Grasset nei suoi studi sulle applicazioni ornamentali delle piante, si tratta di una personale guida letteraria, come recita il sottotitolo, ad ampio spettro. Che include la trattatistica del Liber ruralium commodorum del giudice ghibellino Pier de Crescenzi che nella seconda metà del Duecento scrive sull’organizzazione di spazi, viste e funzioni dei giardini di re e d’altri nobili e ricchi, come la cronachistica del frate milanese Bonvesin de la Riva che equipara la Città celeste a un giardino pieno di colori e fioriture, senza turbamenti.
Nei diversi contesti culturali, giardino come paesaggio ideale, filiazione dell’Eden, dalla Genesi o nella variante dell’enciclopedista Fazio degli Uberti, in quella dell’Alighieri del ventottesimo canto del Purgatorio, ma anche per contrappunto nel giardino del Veglio della montagna descritto da Marco Polo. Poi, giardino come modello umanistico, snodo relazionale della “vita in villa”, utile, commoda, conveniente, come la codifica Leon Battista Alberti nel De re aedificatoria.
Tra descrizioni di giardini reali – in terra di Francia “i due orticelli adatti quant’altri mai al mio gusto” di un Petrarca che meticolosamente annota il suo diario botanico – e immaginari – quelle evocate da Boccaccio o esemplate per forme e modelli in quel catalogo di un giardino già rinascimentale che è il Sogno di Polifilo nell’edizione originale aldina del 1499 e attribuito a Francesco Colonna –, è invece un gioco di mutue rifrazioni a governare l’ingannevole continuum di pitture, giardino e viste sul giardino, raccontato da Vasari nelle Vite, riferendo della logge affrescate della Villa Farnesina.
Fitte le presenze vegetali evocate a costituire ecosistemi, quinte corali. Dal Giardino della viola dedicato a Isabella d’Este dal notaio bolognese Giovanni Sabadino degli Arienti, dove son “erbe olenti, mazorane [maggiorane], serpilli timi e salvie in pallidetta foglia … E da questo prato, passando in fra il mezzo delle murate banche, entrammo sotto un lungo pergolato voltato di vite con egregia arte, producente uve lugliatiche e moscatello: e dai lati sono rosari bianchi e rossi e osmarini e lavande delli cui fiori si fanno odorifere acque”. Al giardino di Careggi di Lorenzo de Medici, descritto da Alessandro Braccesi per come si presentava a inizio Cinquecento: dove assieme ai consueti protagonisti si registrano “pepe, garofano, basilico, nardo balsamico, mirra, loto, cicoria, cannella, cedro e la nobile canna profumata” . Mentre, tra allegoria e realistica descrizione da botanico dilettante, Manzoni scrive della vigna di Renzo come di una “marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di gramigne, di farinelli, d’avene salvatiche, d’amaranti verdi, d’acetoselle …” .
Dalle pagine qui collezionate affiorano una serie di temi “giardineschi” come il rapporto con una natura reinventata, secondo la moda settecentesca del giardino paesaggistico all’inglese illustrato in Italia da Ippolito Pindemonte nella sua Dissertazione sui giardini inglesi , oppure la sensibilità al trascorrere continuo del giardino nel bosco – nelle memorie dello scrittore e patriota mazziniano Ippolito Nievo, e già in Sannazzaro che parla di una disposizione naturale degli alberi come se “maestra natura vi si fusse con sommo diletto studiata in formarli” . Ma anche la disputa sulla valenza produttiva o meno degli alberi, ed è il caso del napoletano Giambattista Marino nel suo Adone , oppure sul serrato convivere tra orti e giardini, come quando il granturco che straborda nelle aiuole più formali del giardinetto pensile che invece a immagine e similitudine del personaggio Franco, nel Piccolo mondo antico di Antonio Fogazzaro, con archi rivestiti dalle passiflore dai grandi occhi celesti, cerca di contemperare gli “ideali orticoli del povero custode”.
Fino poi a lasciar intravedere, nelle descrizioni di un racconto milanese di Giovanni Verga, la dimensione cittadina e sociale, di rappresentanza, del giardino pubblico che si afferma, dove, nel folto del verde cantano gli uccelli e “sotto, nel largo viale, la città arriva ancora col passo affaccendato di qualche viandante, col lento vagabondaggio di una coppia furtiva” .
Tra protagonismi vegetali nel gioco dei ruoli, se nella seconda metà del Settecento Gasparo Gozzi metteva in scena un dialogo morale tra garofani rose e viole, e Leopardi in un brano dello Zibaldone raffigurava il giardino come “quasi un vasto ospitale e se questi esseri [vegetali] sentono, o vogliamo dire, sentissero, certo è che il non essere sarebbe per loro assai meglio che l’essere ”, nel racconto di Pirandello, Di sera, un geranio, il protagonista, cui è stato diagnosticato un male incurabile, desidererà soltanto, farsi erba, vasca, giardino .
Guido Davico Bonino, La felicità è nel giardino. Una guida letteraria, il Saggiatore, pp. 184, € 16, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIV, 9 Supplemento de Il Manifesto del 31 marzo 2024