Che i labirinti, tralasciando quelli immaginari, fatti di citazioni, teorie di stanze, intrichi di lettere e memorie, siano, specialmente nella loro declinazione vegetale, un universale che pervade epoche e culture lo dimostra, ancora oggi, la loro fisica presenza e diffusione trasversale.
Simbolo archetipico, fin dalle incisioni rupestri, dell’incertezza e dello smarrimento della condizione umana in relazione al mondo, strumento di rivelazione del divino, dalle primitive raffigurazioni circolari monocursali al modello geometrico quadrato a sette involuzioni, dalla funzione funeraria in epoca romana a quella penitenziale che dai mosaici policromi li vede trasferirsi in percorsi percorribili nelle cattedrali gotiche, e già strumento magico tra cristianesimo e leggende pagane nei labirinti di erbe e pietre, con l’umanesimo si fanno poi modello ornamentale, dedalo, simbolo di potere e ricchezza, con fine ludico, amoroso, filosofico, esoterico, conoscitivo. Impreziositi, tra volute e snodi vegetali, di meridiane, statue, torri panoramiche, giochi prospettici, ma poi anche passeggi romantici con inizio 800, di nuovo, dopo molte demolizioni e abbandoni, saranno oggetto di ricostruzioni ed entusiasmi da parte dei ceti medi. E, dal secondo dopoguerra, protagonisti di un ulteriore rinascimento, di sperimentazioni di forme e materiali, che li vede diffondersi fino ai nostri giorni nei più diversi contesti e latitudini, entroparchi a tema, scuole, aziende, zoo, resort, aeroporti, memoriali; sul litorale atlantico dell’Argentina come in Alaska o in Australia, esportati, come già prima complice il fenomeno del colonialismo in Africa, America, Asia, ora per ogni dove nel rimpallarsi di mode tra stilemi omologanti e locali reinterpretazioni di modelli.
Nel suo Labirinti vegetali. La guida completa alle architetture verdi dei cinque continenti, Pendragon, pp. 247, € 25,00, Ettore Selli ripercorre ora in rassegna 188 di questi dispositivi catalizzatori a un tempo del timore di perdersi e dell’ingaggio nella sfida della scelta a ogni bivio di una meta che ci sfugge, illustrando (su un censimento di 420 complessivi) con singole schede di dettaglio molteplicità di disegni, complessità di tracciati singolarità e rilevanze storica e artistica. Volta a volta recensendo il variare delle forme, da quelle di base a incroci di maggiore complessità, organiche (piedi, mani, cuori), ispirate a animali (cigni, buoi, cicale, tartarughe, cervi, serpenti) e simboli nascosti nel disegno come quelli runici, punti interrogativi, chiavi di violino, stelle, interi paesaggi astrali; schemi architettonici, stratagemmi progettuali (come la regola della lettura, che considera la tendenziale – in occidente – predilezione della direzione di lettura, verso destra, indicazioni volutamente errate, vicoli ciechi, corti circuiti, cancelli mobili che consentono di trasformare il tracciato, vortici a scelta multipla, come a Longleat in Gran Bretagna); diverse tipologie di specie vegetali impiegate per realizzare le pareti verdi, da quelle classiche come carpino, bosso, tasso, tuia, differenziate in funzione dei climi e per le sfumature di colore del fogliame (differenti varietà di tasso, verde smeraldo e dorate, come nel Music Maze nei pressi di Cambridge) a quelle più diverse, edera arrampicata, rose, azalee, vite, lavanda cactus (in Costarica), bambù, dall’uso raro degli alberi da frutto ai labirinti su scala paesaggistica, fatti di alberi, come quello composto di 50.000 abeti in Danimarca, sull’isola di Samsø, o ospitato all’interno del bosco, di per sé “labirinto naturale”, nel castello di Gabiano in Monferrato.
Come in un dialogo oltre il tempo, fatto di citazioni incrociate e continue potature di mantenimento, mentre il labirinto nel provenzale secentesco Château de la Gaude sta come un’isola sospesa su uno specchio d’acqua, si succedono in ideale sequenza quello in tasso ispirato al gusto del rinascimento italiano ad Hampton Court e tra i più antichi tuttora esistenti quello di Hatfield House nello stile del giardino degli errori, fino al recentemente restaurato a Painswick in stile rococò, a quello neoclassico, con l’iconico marchio della raffinata torre a doppia scala elicoidale di Villa Pisani e all’ottocentesco Labirinto ovale nei giardini ora del Quirinale.
Per trascorre, con il Novecento del maestro belga René Pechère, al Van Buuren Labyrinthe ispirato al Cantico dei cantici, ai molti del più fecondo progettista vivente Adrian Fischer (autore, pare, di più di 700 labirinti), da quello di Saxon Maze presso Reading, di ispirazione medievale, a quello a forma stellata con bicrome tonalità di faggio, rosse e verdi, e agli oltre 80, tra quelli qui documentati, realizzati in questo nuovo millennio.
Tutti illustrati con foto, in quella vista dall’alto che sola restituisce l’eutopia di una personale, percorribile cosmogonia.
Ettore Selli, Labirinti vegetali. La guida completa alle architetture verdi dei cinque continenti, Pendragon, pp. 247, € 25,00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica X, 49, Supplemento de Il Manifesto del 13 dicembre 2020