Il sempre mutevole mondo degli agrumi

Mandarino, pomelo e cedro. Sulla base dell’analisi del genoma, sembrerebbe che oggi siano state finalmente individuate le tre specie ancestrali che avrebbero dato origine a tutti gli altri agrumi. Ma è proprio la multiforme biodiversità degli appartenenti a questo consorzio – da sempre implicati in un continuo rimescolamento di ibridi, mutazioni, varietà e manipolazioni indotte –, a costituire la costante che finisce per conformare la loro ingarbugliata, cangiante vicenda ecologica e culturale.

Protagonisti di sistemi agricoli e paesaggi percepiti gli agrumi pervadono le nostre vite nei più diversi contesti. Dalle campagne produttive alle dinamiche dei mercati, agli usi alimentari, alla valenza estetica del corredo di sensazioni, sapori e profumi in cui si incappa per via di giardini e limonaie, per ritrovarli poi evocati in sensazioni e memorie, proiettati in romanzi e poesie, riflessi in dipinti, essenze profumiere, partiture musicali.

Il carattere della rifiorenza dei limoni, e della contemporanea presenza sulla pianta di fiori e frutti, è uno dei temi ricorrenti già con Teofrasto e poi nella letteratura, da Boccaccio, Ariosto, al Tasso del giardino di Armida. Come pure la particolarità della forma perfetta dell’arancia, del suo sapore come un fuoco d’artificio, nei versi di Apollinaire (Les collines, in Calligrammi, 1918), del suo colore (Gadda la vuole “imbibita di tramonti”), così come del suo profumo: quello che avvolge e stimola alla scrittura Rousseau (“circondato dall’odore di fiori di zagara scrivevo in un ininterrotto incanto”), o il condensato di fioriture delle campagne del Gattopardo racchiuso nelle tre gocce di bergamotto versate sul fazzoletto del principe Fabrizio.

Ma se è l’asprezza il tratto comune e ragione etimologica del termine ombrello per cedri, aranci, limoni che in italiano appare nell’Economia del cittadino in villa del bolognese Vincenzo Tanara del 1644 – agrumi – al centro del volume che oggi ci introduce al loro mondo per la penna di Giuseppe Barbera – dal perspicace sottotitolo braudeliano Una storia del mondo –, è posta lo specifico di una loro mediterraneità (Il Saggiatore, pp. 318, € 25,00).

Per mille ragioni più ampie, ma anche perché, come ci si spiega: “il clima mediterraneo subtropicale porta a maturazione, per l’equilibrio tra zuccheri e acidi, frutti di qualità irraggiungibile da quelli tropicali, dolciastri e senza contrasto organolettico”.

Claude Monet, Limoni a Bordighiera, 1884, Ny Carlsberg Gypsotek Copenaghen

Con uno sguardo ben ampio, dove botanica e agronomia si incrociano con la complessità di sistemi ecologici, strutture sociali, valori culturali ed estetici, Barbera si diffonde in un caleidoscopio di excursus che – come i suoi frutti – ricombina carotaggi e divagazioni.

Il metamorfico manifestarsi degli agrumi vien ripercorso nei miti. E’ cosi che i pomi d’oro del giardino delle Esperidi delle fatiche di Ercole verranno identificati – in piena riscoperta della classicità – da Giovanni Pontano nel suo De hortis hesperidum del 1503 proprio con questi frutti. Con successiva consacrazione da parte di Giovan Battista Ferrari, gesuita e curatore dei giardini dei Barberini al Quirinale (su raccomandazione di Cassiano dal Pozzo) che sulla base dei campioni raccolti nella sua esperienza correda di numerose, accurate tavole botaniche la sua trattazione pomologica Hesperides, sive de malorum aureorum cultura et uso (1646).

Vincenzo Tanara, Economia del cittadino in villa

È poi la complessa trama delle migrazioni degli agrumi a venir esplorata, dalle regioni tropicali e monsoniche verso lidi sub tropicali. Dalla Cina – dove nel XII secolo si riferisce di questioni di etichetta su come sbucciarli a corte – e dall’India a Gerusalemme, alle terre dell’antico Islam – protagonisti delle sperimentazioni di quella rivoluzione agricola –, da lì ad al-Andalus dove il patio de los naranjos della moschea di Cordoba con i suoi alberi allineati tra canaline d’irrigazione diverrà modello da replicare, fino alla Sicilia arabo normanna. In percorsi e incroci di cui si riscontra traccia in tanti etimi, proverbi, canzoni popolari.

Una vera e propria mania si profila nel clima di una nuova attenzione al mondo naturale della rinascimentale accademia neoplatonica e nei giardini medicei dove, tra naturalia e mirabilia, gli agrumi saranno oggetto di incontenibili collezioni. Occasione di celebrazione dinastica, come nel boschetto di aranci della Primavera del Botticelli e misura delle prime ansie classificatorie che traspaiono dalle tele di Bartolomeo Bimbi dove si fa ritratto di oltre un centinaio di agrumi, compresi di cartigli identificativi e descrittivi.

Con la scoperta dell’America e il trasferimento incrociato di piante, animali e microorganismi tra i due mondi, da subito son coinvolti anche gli agrumi. Già nel 1493 Colombo li porterà con sé nel suo secondo viaggio, dando avvio a una vicenda per cui il continente americano diverrà poi tra i maggiori produttori – e consumatori – di agrumi, ben davanti i paesi mediterranei. Mentre nella dialettica tra nord e sud del vecchio continente, assurti a elemento emblematico del paesaggio mediterraneo, e della sua idealizzazione da parte di tanti viaggiatori in formazione negli anni del Gran Tour, gli agrumi sono evocati nel celeberrimo lead di Goethe Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni, musicato poi da Schubert, Beethoven e Schumann. Nonché, ricorda sempre Barbera, in opere come Carmen, Bohème, Cavalleria rusticana

La passione o mania per gli agrumi (che si è preteso di coltivare finanche in Germania e nell’Europa orientale fino in Russia lungo il Mar caspio), combinata all’esigenza di proteggerli da temperature troppo rigide, specialmente ostili per limoni e pompelmi, produrrà il fiorire di ripari, conserve, cedraie, arancere, giardini d’inverno. Come la limonaia della villa medicea di Castello con la sua stordente camera dei profumi. Di gran moda, spesso scenario di feste e ricevimenti, dilagano serre e orangerie. A Versailles una galleria centrale di 155 metri è affiancata da due laterali e aperta sul gran parterre; nel giardino della neo palladiana residenza di Lord Burlington a Chiswick una ricca messe di specie e varietà animano un Anfiteatro di agrumi.
E agrumi in vaso figurano anche sui balconi della Certosa di Parma di Stendhal.

Francisco de Zurbarán, Natura morta con limoni, arance e una rosa, 1633, Norton Simon Museum, Pasadena

Ma a segnare paesaggi e immaginari saranno anche le architetture dedicate alla coltivazione – specialmente a scopi alimentari. Dopo quelle elaborate già dai francescani nel XIII secolo per coltivare limoni in piena terra, quelle ordinate su gradoni chiusi su tre lati da alti muraglioni nella terraferma veneziana, ricordate nel 1483 da Marin Sanudo. E, soprattutto, gli spericolati terrazzamenti della riviera ligure e gli agrumeti produttivi della costa amalfitana e sorrentina all’ombra di pergole collegate al muretto della piazzola superiore.

Sul crinale tra paesaggi culturali e produttivi, il ruolo degli agrumi muta di segno con lo scarto tra frutto da ornamento nei giardini di piacere e coltura estensiva in vista di una produzione commerciale di ampia scala, capace di modificare i paesaggi fino agli eccessi speculativi o alla loro cancellazione, con le trasformazioni urbane e industriali.

Resta da chiedersi se, a corollario della loro instancabile mutevolezza e variabilità, e nella dialettica con i più recenti mutamenti climatici e dei sistemi produttivi, gli agrumi di oggi, non solo siano gli stessi del passato – come direbbe Barbera, bisognerebbe chiedere a Teofrasto –, ma come domani… diverranno.

Giuseppe Barbera, Agrumi. Una storia del mondo, Il Saggiatore, pp. 318, € 25, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIV, 40 Supplemento de Il Manifesto del 13 ottobre 2024