Jérôme Sueur, le sonorità della natura

Onnipresente e costitutivo di ecologie e paesaggi, il suono si confonde con l’ambiente senza cui non esisterebbe. Aria, acqua, piante, pietra… son loro che in realtà lo propagano. Trascorrendo nella dimensione di una temporalità evanescente, nasce da un movimento, da una deformazione dell’ambiente, con ciò rivelandone il cambiamento di stato.
A contraltare di un’attenzione al paesaggio sonoro, soundscape nella definizione anni 60 di Raymond Murray Schafer – l’insieme dei suoni che possono esser sentiti in un luogo e in un momento precisi –, dove, da musicista, la percezione e la lettura del mondo son preminentemente consegnati all’ascolto umano, e di un approccio alla storia del sensibile alla Alain Corbin dove componenti fondamentali come suono e silenzio in dialettica vengono presi in conto e interpretati nel loro contesto culturalmente determinato, Jérôme Sueur si concentra sulla dimensione sonora della natura. Interrogando le sue molteplici forme e interrelazioni, da naturalista ad ampio spettro e direttore del laboratorio di ecoacustica al Museo nazionale di storia naturale di Parigi (Storia naturale del silenzio, Nottetempo, pp. 247, € 18,90).
Dall’ascolto sensibile e analitico di una natura dove ogni specie e ogni individuo percepisce l’ambiente in funzione delle proprie capacità sensoriali, modalità di ricezione e emissione sonora, risulta una sorprendente varietà acustica, di segnali incidentali e intenzionali, di modulazioni, tempi, ritmi, sfumature, timbri.
Tante quante sono le funzioni comportamentali, sociali, ecologiche di suoni emessi, percepiti e interpretati, così molteplici sono i tipi di silenzio: di gruppo, di disciplina, amoroso, di battaglia e, specialmente, di sopravvivenza: motore di un’intera ecologia.

Felix Valloton, Il vento, 1910, National Gallery of Art, Washington DC

Tra i molteplici criteri per tentare di ordinare questo vasto assortimento acustico – proprietà fisiche, origine, mezzo di propagazione, funzioni –, congeniale è la classificazione di Bernie Krause che articola la sonosfera dei paesaggi naturali in tre grandi insiemi sulla base della natura delle loro fonti.
Di base, la componente della geofonia, l’insieme cioè dei suoni abiotici ma naturali, dallo scorrere delle acque di un ruscello alla risacca del mare, al fischio del vento rivelato dall’ostacolo di alberi e rocce, al sobbollire delle effusioni magmatiche, allo sfregare dei ghiacci in scivolata, che ha a lungo dominato – quasi 4 miliardi di anni – su una terra peraltro mai silenziosa; poi, in relazione a fasi alternate di aumenti e crisi della biodiversità sotto e sopra l’acqua, l’affermarsi della biofonia che riunisce tutti quelli di origine vegetale (gli schiocchi di chicchi di granoturco) e animale. Volta a volta colti come indicatori di sorveglianza e sopravvivenza o emessi come intenzionali, anche in forma di comunicazione intraspecifica – dalle stridulazioni degli insetti ai canti armonici delle balene –; con le mille forme della loro proiezione nell’ambiente, veicolate da specifiche anatomiche come dall’uso di oggetti esterni: “grilli che utilizzano foglie come diffusori, grillotalpe che scavano gallerie come cornetti acustici, rane che si siedono dentro tronchi vuoti e risonanti, pesci che brontolano all’interno di ostriche perlifere la cui conchiglia funge da amplificatore”.
Fino alla comparsa, durante il Quaternario dell’antropofonia degli esseri umani del genere Homo: con i loro spostamenti, voci, musiche utensili, tecniche, macchine. E con la prepotente invadenza di suoni – e il loro farsi rumore, semplificando suoni che disturbano segnali e informazioni – a distorcere il silenzio naturale (di biofonia e geofonia).

John Constable, Helmingham. The Silent Pool, c. 1800, Yale Center for British Art


Nel moltiplicarsi dei silenzi del vuoto, misura della recente, drastica riduzione delle biodiversità, la pervasiva, finanche negli ambienti acquatici, impronta sonora dell’uomo comporta enormi costi sociali e ha effetti deleteri per la complessiva salute ecologica che vanno ben oltre l’evidente – obbliga ad esempio gli uccelli, per esser sentiti, a cantare più forte o più a lungo.

Nel lungo termine, l’inquinamento acustico antropofonico altera le interazioni tra le specie e incide su funzioni ecologiche come l’impollinazione e lo sviluppo dei semi,
E poco ci rassicura il silenzio nuovo del sopraggiungere inaspettato nelle nostre strade dei taciturni motori delle automobili elettriche.

Jérôme Sueur, Storia naturale del silenzio, Nottetempo, pp. 247, € 18,90, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIV, 48 Supplemento de Il Manifesto del 22 dicembre 2024

Nikolaï Doubovskoï, Silence, 1890, Musée réserve de Vladimir-Souzdal