L’Assunto che vuole conferire all’architettura “un ruolo cruciale nella costruzione di senso dei paesaggi” permea l’ambizioso progetto in cui si cimenta Marco Trisciuoglio nel ripercorrere le tracce delle “cose dette” attorno all’idea di paesaggio, andando alla ricerca di una sua archeologia proprio a partire dalle pratiche discorsive dell’architettura. Disciplina che, pur muovendosi nel dominio del costruito, si confronta qui con un oggetto estetico, un sentire ritagliato nello sguardo con il quale lo si coglie, un operare senza firma o, per meglio dire, dalla firma condivisa con molte altre forme del vivente.
Tra contesto materiale e dimensione mentale, l’ultimo libro di Trisciuoglio, L’architetto nel paesaggio. Archeologia di un’idea (Olschki, pp. 234, € 24), mette in tensione, dal mondo antico alle soglie del nostro 900, gli enunciati e le proiezioni delle relazioni che a quel paesaggio ci legano, istaurandolo volta a volta: dalla sua scoperta, all’apprezzamento, alla contemplazione, fino al coinvolgimento nell’artificialità della trasformazione.
Ad anticipare l’incedere dell’architetto – ma non solo – nel paesaggio, ecco allora nell’insieme di oggetti discorsivi rintracciati affiorare la progenitura dell’idea moderna di paesaggio in un Petrarca che meticolosamente annota il suo diario botanico e contempla come esperienza estetica la celebre ascesa al Monte Ventoux; e se la natura si fa paesaggio in relazione diretta e come contraltare di una civiltà urbana tardomedievale, questa non è che una delle coppie dialettiche che struttureranno poi il discorso sul paesaggio in occidente. Coppie cui associare specifici temi dell’architettura e relative categorie estetiche. E allora, la contrapposizione città-campagna, per il tramite architettonico della villa (e relativi otia di classica ascendenza) si collega al pittoresco, quella coltivato-selvaggio, tradotta in figura dal belvedere sul panorama, volge al sublime, mentre la grazia dell’artificio del giardino è la risultante, secondo la categoria del grazioso, del confronto con lo spazio esterno funzionale del cortile della casa.
E via così, per puntuali retrospettive, nell’individuazione di enunciati, tappe e snodi (dal genius loci, all’otium, all’Arcadia; dall’Alberti che codifica lo statuto relazionale della villa come questione progettuale, a Raffaello che con Villa Madama vi include la natura superando la contemplazione, al paesaggio della razionalità prospettica e gestionale e pure di raffinati affetti del modello veneto di Palladio).
Mentre si delineano la trama di debiti e i rimandi di formulazioni e pratiche, resi evidenti in trascorrere d’epoche, testimoni e protagonisti, ambiti, saperi.
Si aspetta il seguito, di quest’archeologia che, risalendo per stratigrafie, risulta quasi trascrizione in coreografia di spinte e controspinte di pensiero e azione. Utile “topograficamente” anche in direzione dell’oggi e dell’idea di un paesaggio, o giardino totale, dove disporsi a intervenire nel progetto, in attitudine e pratica d’interlocuzione.
Trisciuoglio, L’architetto nel paesaggio. Archeologia di un’idea, Olschki, pp. 234, € 24, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XI, 9, Supplemento de Il Manifesto del 3 marzo 2019