Prefazione di Andrea Di Salvo all’edizione italiana di Gilles Clément,
Elogio delle vagabonde. Erbe, arbusti e fiori alla conquista del mondo, pagg. 144, €15, DeriveApprodi, 2013
L’avventura delle vagabonde
“Giardiniere prima di tutto”, come ama dire di sé, ma giardiniere dal pensiero ricco e stratificato dall’esperienza. Niente affatto istituzionale, eppure capace di imporsi negli anni con il suo lavoro teorico e progettuale all’attenzione anche del grande pubblico, coltivando una trasversale dimensione pedagogica.
Al centro del magistero di Clément, l’attenzione insistita su l’ininterrotto processo di acquisizione di consapevolezza della diversità del vivente. Consapevolezza perseguita che si fa assunto, metodo, strumento, riferimento concettuale e filosofia di vita. Fino a risultare parte strutturante dell’agire del ciascun giardiniere; là dove quest’ultimo è ammesso ad assecondare i processi naturali con il riformulato ruolo in commedia di compartecipe discreto di un complessivo interagire planetario. Consapevole, per sovrappiù, che se ad attentare alla biodiversità concorrono l’opera congiunta della distruzione per negligenza e della spoliazione per interesse, soltanto la conoscenza può opporsi a tale devastante combinato di ignoranza e mercificazione.
“Ciò che non ha nome non esiste”[1] afferma Clément e, come ben sa chi accompagna un bimbo nella scoperta del mondo, nominarne le singole cose significa iniziare a conoscerlo per comprenderlo. L’anelito conoscitivo di Gilles Clément procede con gli strumenti dell’indagine filosofica creando un suo peculiare linguaggio generatore. E se al suo estremismo dialettico è stato rimproverato un “pericoloso equilibrismo logico”, non è difficile consentire all’utilità di passare talvolta “oltre la logica, [indirizzandosi] tramite metafore direttamente alla nostra immaginazione e alla nostra sensibilità”[2].
I suoi concetti-metafora, elaborati nel corso degli anni sulla base di osservazione continua e concrete esperienze, si dispiegano in una costellazione di pensiero che è al tempo stesso filosofia del paesaggio e etica in azione per una ecologia umanista. Tre sono qui le luci di prima grandezza, riconducibili alle tre formulazioni di Giardino in movimento, Giardino Planetario, Terzo paesaggio, ormai note anche in traduzione al pubblico italiano[3]. Tra di esse fanno la spola una serie di nozioni navetta, che si trovano determinate in un Abecedario per una ecologia umanista[4] dove Clément concentra gli elementi fondativi del suo lessicopensiero: da Avventura a Stupore, da Globale a Sogno, Utopia, … E, per tornare al nostro libro grimaldello, Erba, Movimento e, evidentemente, Vagabondaggio.
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Avviata con i primi anni 90, la teorizzazione del Giardino in movimento si fonda su una attenzione nuova per le energie del vivente. Restituito il centro della scena alla natura, l’uomo, il giardiniere, deve imparare a leggere l’ordine biologico e a intervenirvi con passo leggero.
Lasciato libero di crescere, il giardino “incolto”, con lo spontaneo nascere e diffondersi delle specie e degli esseri che lo abitano – il movimento –, tende ad un equilibro che favorisce la diversità. Clément invita a osservare nel corso del tempo questa dialettica delle energie dei luoghi e dei suoi abitanti. A conoscerla, assecondarla e orientarla interagendovi creativamente[5]. Invita a seguire e perseguire il principio di “economia ecologica” cui si è ispirato fin dalle prime sperimentazioni nel suo giardino-laboratorio di La Vallé a Creuse: “fare quanto più possibile con, e quanto meno possibile contro”. Un principio sottoposto a verifica in alcune parti del Parc André Citroën a Parigi, e che tenderà poi a trasporre alla scala di Giardino Planetario: altro concetto guida o – come egli dice – progetto politico di “ecologia umanista”, paradigma riassuntivo di un riconfigurato sistema di relazioni tra giardino, paesaggio, natura.
Il Giardino Planetario si fonda sull’assimilazione del pianeta, ecologicamente determinato nella sua biosfera, ad un giardino, per sua definizione concluso, ma assieme spazio del mescolamento e dei flussi che rimodella identità ed appartenenze. Reso Manifesto nel romanzo epistolare tra il giardiniere “tradizionale” Thomas e l’anonimo uomo di scienza il Viaggiatore[6], difficilmente riducibile a rappresentazione se non come Continente teorico (cfr. in questo libro, la seconda immagine a corredo[7]), il Giardino Planetario è un territorio virtuale; mentale ma caratterizzato dalla presenza e determinato dall’agire dell’uomo come testimonia l’articolazione in due sezioni dell’Esposizione-passeggiata Le jardin planetaire. Ou comment réconcilier l’homme et la nature, svoltasi nel 1999-2000 a la Grande Halle de la Villette, a Parigi, dove riscosse un grande successo di pubblico e fu efficace veicolo di divulgazione delle proposte di Clément. Nel Giardino delle conoscenze il visitatore percorre in parallelo la storia “naturale” e la storia “culturale” della natura seguendo tre grandi tappe: diversità, mescolamento (brassage), assemblaggio delle specie, degli uomini e delle culture; nel Giardino delle Esperienze trova le proposte: una sorta di istruzioni per l’uso del Giardino Planetario articolate in grandi gesti[8].
“Frammento irrisolto del Giardino Planetario”, il Terzo Paesaggio è ancora uno spaziodefinizione, frutto dell’osservazione sul campo (nel 2003 sul sito di Vassivière nel Limousin). Esso innesta nella struttura del paesaggio rilevato – paesaggio d’ombra dell’ingegnere forestale che sfrutta il bosco versus paesaggio di luce dell’ingegnere agronomo – appunto un Terzo paesaggio, capace di ospitare la vita e le specie estromesse dai paesaggi normati; somma degli spazi residuali o di transizione dove l’uomo abdica alla natura[9]. L’osservazione e lo studio dell’energia della vita che si dispiega nello spazio sottratto all’agire umano in questo tipo luoghi, in genere negletti, ma con vocazione d’asilo della diversità biologica, introduce paradossalmente all’indicazione di un loro utilizzo come luogo “per il futuro”, riserva genetica del pianeta. Nel Parco Matisse, a Lille, Gilles Clément mette in scena il Terzo paesaggio quando, profittando dei lavori di scasso per la stazione ferroviaria viene lasciata al centro dell’area un’isola inabbordabile, l’île Derborence, una “foresta ideale” a sette metri e mezzo di altezza rispetto al piano del parco, dove, impedito l’accesso all’uomo, viene lasciata alla natura la possibilità di fare il suo corso, derivandone una sorta di “matrice e indicatore per una gestione nella più grande economia possibile degli otto ettari di parco pubblico“[10].
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Se, dunque, nel Terzo Paesaggio si osservano e misurano gli esiti dell’assenza di ogni intervento umano, nella logica del Giardino in Movimento si procede, sempre per forza di levare, agendo il meno possibile, seguendo le istruzioni della natura, interpretando e utilizzando le energie dei luoghi. Assecondando il movimento, massima manifestazione della vita. Movimento che – si precisa sub voce nell’Abecedario –, diversamente da quanto avviene per gli animali che “viaggiano” e per gli uomini che “si agitano”, nel caso dei vegetali corrisponde, per lo più, al vagabondaggio[11].
E tra i vegetali, maggiore espressione della diversità della flora, almeno ai nostri climi spunta l’Erba, che – niente a che vedere con il prato, “superficie uniforme considerata come supporto meccanico o visivo” –, sempre stando all’Abecedario, si presenta “plurale”.
Soggetto privilegiato della riflessione di Clément (che le dedica anche un capitolo nel romanzo manifesto Thomas et le voyageur[12]), l’erba, anzi, le erbe plurali, sono in continuo movimento e, complice l’accelerazione determinata dall’irrequietezza dell’uomo, si vanno ancor più disseminando in habitat diversi da quelli di origine e a tal punto si sono adattate da esser spesso percepite come una minaccia per la flora indigena “legittima”. Ma se “Il giardino tradizionale separa le erbe buone e quelle cattive. Per il Giardino in Movimento l’erba non è né buona né cattiva. È”[13]. O magari, no. Se la si può elogiare; per quanto, l’elogio delle vagabonde non nasce come difesa d’ufficio di queste illegittime a fronte di censure e condanne, pure puntualmente ricordate, evidenziando toni e terminologia di un’attitudine censoria e razzista già ampliamente sperimentata nel caso di vagabondi della specie umana… Nell’osservazione della dinamica della vita, non vi è giudizio. Non si rilasciano o contestano patenti di legittimità o moralità (la vita, nel suo prodursi, è violenta, come da Genet in ex ergo del volume).
E nell’esperienza e nella riflessione di Clément, il Giardino in Movimento nasce proprio dall’osservazione di queste specie nomadi, che per il tramite delle generazioni, viaggiano tra le stagioni, di luogo in luogo, rimodellando lo spazio. Anche quello mentale, dove assolvono al ruolo di elemento di raccordo tra i diversi concetti chiave: “fin dall’inizio della mia esperienza sul campo, le vagabonde hanno servito la causa del Giardino in movimento … Oggi le vagabonde danno forma al Giardino planetario … sono di conforto alla sua esistenza”.
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Addentrandoci nella lettura del nostro libro grimaldello, uscito nel 2002 sotto la veste del nobile modello retorico dell’insano elogio (con sottotitolo: Erbe, alberi e fiori alla conquista del mondo …), ci si imbatte in una rassegna affettuosa di ritratti in forma di repertorio di voci dove Clément racconta la storia del suo personale incontro di viaggio con la girovaga di turno nelle situazioni più disparate e nei più diversi luoghi del pianeta (Clément è pur sempre anche il Viaggiatore).
Per quanto dissimulato in una breve introduzione, il tono problematizzante perdura con il procedere dell’analisi di ogni singola pianta. Secondo un registro che affianca da un lato informazioni su storia e rilievo culturale, denominazione e utilizzo in luoghi ed epoche diverse della vagabonda in questione e dall’altro annotazioni problematiche di più ampio respiro. In relazione dialettica con la richiamata costellazione di pensiero in divenire: annotazioni che si incontrano ad ogni piè di pagina dedicate in particolare a evidenziare funzioni e adozioni possibili delle vagabonde reiette in relazione alle opportunità offerte dallo studio del loro comportamento. Annotazioni che confluiscono poi e si dispiegano in un lungo capitolo finale con funzione di posfazione: in realtà una vera seconda parte dell’opera, dal titolo programmatico: Il pianeta, un paese senza bandiera.
Ecco allora l’intersecarsi di opzioni tra una provocatoria e ragionata riflessione d’insieme e una lettura orizzontale che sfogliando nel repertorio inanella, sul registro delle notazioni specifiche sulle vagabonde, cenni e temi ricorrenti[14].
Le considerazioni affettuose sulla loro bellezza (l’architettura degli apparati), sempre congiunta a ragioni funzionali (le villosità che proteggono dall’essiccazione contribuendo a economizzare l’acqua) e al loro stare nel paesaggio (capacità di formare e deformare lo spazio, cambiare la scala di percezione ma anche animare il giardino, accogliere gli insetti); le piccole storie delle etimologie (dalla pappa al papavero), più o meno etnocentrate (il centroamericano Fico d’India, ma dei berberi in francese e per gli arabi un tempo fico dei cristiani); le ragioni dei loro mille utilizzi pratici e simbolici più o meno verosimili (come starnutatori, o bombe ecologiche per la pesca di frodo,…). Ma anche le annotazioni sulle mille forme del loro muoversi: ospiti di preziosi insetti “tintorii” fino all’avvento dei coloranti sintetici; “piante da strada” al seguito degli uomini per ragioni officinali o transfughi da pericolosi utilizzi come l’acquariofilia o fuoriuscite dalla giardinomania esotica dei collezionisti botanici –dapprima scappando dai giardini per poi tornare a invaderli periodicamente a ondate modaiole totalitarie. Ma, soprattutto, chiamate in correo da attività umane più o meno consapevoli: dalla diffusione delle monoculture delle pratiche agricole (dove l’uso intensivo di specie tardive favorisce l’impianto delle erbacee precoci), al tracciamento di strade, ferrovie, gasdotti che favorisce l’affollamento di specie cosiddette “opportuniste dei suoli aperti”; dall’inquinamento di acque e terra con componenti di cui soltanto alcune piante invasive sono “ghiotte”, alla moltiplicazione per frammentazione da falciatura che stimola la rizogenesi. E infine, il riconoscimento dei loro meriti ecologici: dalla funzione di arricchimento e restituzione dell’azoto al suolo, a “forme di assistenza indiretta, e imprevista, al salvataggio della diversità” come la funzione di ricovero offerta nello spazio protetto tra le spine delle Opunzie in Marocco alla flora erbacea indigena a rischio estinzione; dalla limitazione dell’erosione e contenimento degli argini assicurati da parte di alcune specie riparie invasive, fino al ruolo assunto nella conservazione dell’ecosistema della foresta intertropicali da “un’erbetta da niente, giunta da lontano”,…
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A fianco – e attraverso questa lettura puntuale – la vicenda grimaldello delle vagabonde serve nel suo complesso per tornare a parlare dal basso delle condizioni attuali della “diversità nata dalla mescolanza planetaria”. Gilles Clément ci mette sull’avviso. Stando così le cose, il paesaggio in costruzione vedrà il diffondersi sempre maggiore di specie vagabonde.
L’accelerazione del ritmo degli spostamenti dell’uomo sul pianeta, il moltiplicarsi suo e delle sue attività – la sua irrequietezza – favoriscono un ricongiungimento virtuale dei continenti, moltiplicando transito delle specie e loro mescolanza (Il continente teorico). Mescolanza che condiziona in negativo la biodiversità, contribuendo alla riduzione delle specie sul pianeta. Nel frattempo, l’uomo sta determinando su grande scala fattori facilitatori della naturale tendenza a vagabondare delle piante: secondarizzazione del territorio e alterazione qualitativa dell’ambiente antropizzato che seleziona perlopiù specie opportuniste e cosmopolite, in grado di adattarsi a suoli e acque inquinati o impoveriti, oramai inaccettabili per specie endemiche sprovviste di tali caratteristiche.
L’incertezza degli esiti della mescolanza e quindi dell’insieme delle reazioni dell’ambiente (la “risposta dell’habitat”) alle alterazioni del sistema sono fonte di inquietudine che inducono troppo spesso a atteggiamenti di certezza obbligata. Se la diversità è in pericolo, occorre muoversi. Comunque. E magari in modo … qualunque. Come reazione all’incertezza, il paesaggio, la natura “ambientalizzata”, vengono ridotti ad oggetto; normati in categorie, misure, decisioni, regole, leggi. Piuttosto che un paesaggio delle Convenzioni, un paesaggio delle convinzioni a tutti i costi. Tra queste, il bisogno di occuparsi di chi occupa i nostri territori. Magari troppo ricchi per le specie endemiche, saturi come sono di nitrati. E, invece di studiare in che modo riqualificare l’ambiente, consentendo la graduale ricostituzione delle caratteristiche che ne garantiscono la diversità, si dissipano energie nel combattere un nemico eletto: l’armata stracciona d’invasione delle vagabonde.
Evidenziandone invece la capacità inventiva, Clément sostiene come per converso sia utile studiare il procedere “temerario” del loro movimento, della loro energia. Ispirarsi alla capacità delle vagabonde di volgere a proprio favore l’incertezza, di inventare nuove situazioni, nuove “soluzioni di esistenza”. O di resistenza. E di Giardini di Resistenza, sulla linea delle indicazioni del Giardino planetario, Clemént va di recente delineando sempre più spesso lo spirito e proponendo la realizzazione.
Formalizzata come Sogno in sette punti per una generalizzazione dei Giardini di resistenza, con tanto di elenco delle 15 Parole chiave in ordine di apparizione[15] (anche qui un abecedario), la proposta si concentra proprio sul rispetto degli elementi base della diversità e su un agire fattosi consapevole di dover preservare il bene comune e restituire al pianeta l’energia presa in prestito (ancora un passaggio, quello verso lo sviluppo dell’uomo simbiotico).
Tra le proposte di questi luoghi di resistenza, il giardino acquatico di Melle (Deuz Sévres) micro-laguna dove trattare le acque inquinate della regione o il Giardino alimentare dove opporsi alle “violenze del mercato”[16]. Tema, quello delle piante alimentari spontanee, segnalato come questione prioritaria, “in un mondo dove si accresce la popolazione e diminuiscono le superfici delle terre arabili”, ancora di recente nel Carnet de mission, intervento valutativo della ventennale vicenda del Domaine di Rayole (1989-2009)[17], miglior esempio di realizzazione di un parco di raccordo di biomi mediterranei, ispirato al concetto di Giardino Planetario. Tema che nell’Elogio delle vagabonde appare con la chiarezza di un lampo a proposito del finocchio: “Ecco allora il biasimo [dei critici delle vagabonde], il finocchio soffre di una condizione libertaria che lo esclude dal mondo agricolo. È intollerabile che cresca spontaneamente, potrebbe nutrire della gente senza che altri, occupati a sfruttare terreni, ne traggano il minimo profitto”.
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In un intervento di bilancio sulla questione erba, A che punto siamo con l’erba? Riflessioni sul Giardino Planetario, del 2006[18], Clément riconosce come dal 1991, data della prima apparizione del Giardino in movimento, su questo tema, come su altri, sia avvenuto un salto culturale al punto che oggi “l’Erba plurale diviene un oggetto di considerazione, tema di ricerca, supporto al dispiegarsi delle arti”. Pure, confessa di diffidare di un tale successo. Vede in agguato il rischio di una radicalizzazione della coscienza ecologista che operi “a vantaggio” della trasformazione della natura in paesaggio-oggetto, vede il rischio che un’esigenza di salvaguardia si traduca in distanza.
Come ulteriore antidoto a questa distanza – oltre alla pratica dei Giardini di Resistenza – Clément propone il ricorso ad un altro grimaldello che ancora attinge dal solito Abecedario: lo Stupore, “capacità di vedere (ascoltare, gustare,sentire, ecc)” [19]. Come nel caso dell’invito ad ispirarsi alle Vagabonde, nell’attivazione dello stupore vale la rinuncia alle certezze a vantaggio di un’incertezza fragile che assuma a proprio fondamento “l’insieme dei possibili: la diversità. L’erba ne fa parte”: ribadisce Clément[20].
Ma nell’ossimoro di un tale affidarsi programmatico, lo stupore da attivare è quello che consente di notare differenze minime nelle similarità, tracce di un inceppamento nelle serie ordinate, potenziali avvii di mutazioni nel normale che si ripete. Uno stupore che presuppone “una lettura fine: nominare le piante, gli insetti, gli uccelli come si nominano gli umani tramite un tratto singolare o un semplice patronimico, riconoscerli per differenziarli. Nello stato attuale, riguardo la questione dell’erba siamo all’accettazione della sua esistenza. Ci resta di farne una lista”[21].
Come forse già fa quel bambino curioso, intento a nominare il mondo, cominciando a chiamare singolarmente, per nome, gli individui di quella specie invasiva e vagabonda propria del bioma urbano occidentale evoluto che germogliano alle prime gocce di pioggia fuori stagione, apparendo dal nulla come dalle crepe dell’asfalto urbano e dallo sconnesso che si determina tra gli endemici sanpietrini nostrani, e propone quella evanescente fioritura dalle corolle multicolore, ombrelli a pochi euro da offrirsi alla distrazione della nostra meteoprevisione dipendenza.
Andrea Di Salvo
* A proposito del suo libro, Clemént dice: “In questo libro avrei potuto limitarmi all’analisi. … Io volevo parlare di avventure” (che è ancora un termine dell’Abecedario)
[1] Gilles Clément, Philippe Deliau, Christian Desplats, Carnet de Mission. Domaine du Rayol: 1989-2009, Edition Duoblevébé Récup 2009, p. 51.
[2] Parere di Danielle Dagenas, Le paradoxe Clément, raccolto in Gilles Clemént, Louisa Jones, Une écologie humaniste, Aubanel, Parigi 2006, p. 256.
[3] Gilles Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, a cura di Filippo De Pieri, Quodlibet, 2005; Gilles Clément: nove giardini planetari, a cura di Alessandro Rocca, 22publishing, 2007; Gilles Clemént, Il giardiniere planetario, 22publishing, 2008; Gilles Clément,La Saggezza del giardiniere, 22publishing, 200??; Gilles Clément, Il giardino in movimento. Dalla vallata al giardino planetario, Quodlibet ; Cfr. il sito http://www.gillesclement.com.
[4] In Gilles Clemént, Louisa Jones, Une écologie humaniste, cit., pp. 233-239.
[5] Di “incolto addomesticato” come provocatoria espressione della ispirazione ecologica di Clément, parla Alain Roger, Dal giardino in movimento al giardino planetario, in “Lotus navigator” n. 2, I nuovi paesaggi, Electa, Milano 2001.
[6] Gilles Clément, Thomas et le voyageur: esquisse du jardin planetarie, Parigi, Albin Michel, 1997.
[7] Cfr. http://www.gillesclement.com/cat-jardinplanetaire-tit-Le-Jardin-Planetaire L’image dite du “continent théorique “, empilement de biomes assemblés en une seule figure, tous continents confondus, bien que virtuelle, traduit une réalité biologique actuelle. Le brassage planétaire menace la diversité spécifique par la mise en concurrence d’espèces d’inégales vitalités mais induit de nouveaux comportements, de nouveaux paysages, parfois aussi de nouvelles espèces. Le jardin, pris dans le sens traditionnel, est un lieu privilégié du brassage planétaire. Chaque jardin, fatalement agrémenté d’espèces venues de tous les coins du monde, peut être regardé comme un index planétaire. Chaque jardinier comme un entremetteur de rencontres entre espèces qui n’étaient pas destinées, à priori, à se rencontrer. Le brassage planétaire, originellement réglé par le jeu naturel des éléments, s’accroît du fait de l’activité humaine, elle-même toujours en expansion.
[8] In http://www.waternunc.com/fr/jardinpl.htm Le parcours commence dans le Jardin des Connaissances. En s’y promenant, les visiteurs parcourent en parallèle l’histoire “naturelle” de la nature et l’histoire “culturelle” de la nature selon trois grandes étapes : la diversité, le brassage et l’assemblage des espèces, des hommes et des cultures. Plantes et animaux rares, oeuvres d’art, milieux naturels ou aménagés s’insèrent dans la végétation de l’exposition.
Le deuxième jardin du parcours est le Jardin des Expériences – émergeant d’une prairie de graminées – véritable mode d’emploi du jardinage planétaire, décliné en huit gestes : “Ne pas blesser la terre”, “Accueillir les alliés du jardinier”, “Construire la maison de l’homme”… relatés par ceux qui les mettent en oeuvre (maire, chercheur, paysan, citoyen) et illustrés aussi bien par la taupe ou le ver de terre que par les capteurs bioniques de nuages du désert d’Atacama au Chili ou l’écologie industrielle de Kalundborg en Suède.
[9] http://www.gillesclement.com/cat-tierspaysage-tit-le-Tiers-Paysage Le terme de Tiers-Paysage ne se réfère pas au Tiers-Monde mais au Tiers-Etat. Il renvoie au mot de l’Abbé Siéyès : “Qu’est-ce que le Tiers-Etat ? – Tout – Quel rôle a-t’il joué jusqu’à présent ? – Aucun – Qu’aspire-t-il à devenir ? – Quelque chose “.
[10] http://www.gillesclement.com/cat-tierspaysage-tit-le-Tiers-Paysage.
[11] Si parafrasano qui le formulazioni sub voce dell’Abecedario: Erba, Movimento, Vagabondaggio. In Gilles Clément, Louisa Jones, Une écologie humaniste, cit., pp. 234, 236 e 238.
[12] Clément tornerà di nuovo sul tema in recenti considerazioni di bilancio nell’intervento che dà il titolo al libro di Gilles Clément, Où en est l’herbe? Reflexions sur le Jardin Plànetaire. Testi presentati da Louisa Jones, Actes Sud 2006, pp 151-156.
[13] In Gilles Clemént, Louisa Jones, Une écologie humaniste, cit., p. 234.
[14] Si paragrafano qui liberamente suggestioni dal testo.
[15] http://www.gillesclement.com/cat-jardinresistance-tit-Les-Jardins-de-resistance Les jardins de résistance. Rêve en sept points pour une généralisation des jardins de résistance. Mots clés par ordre d’apparition dans le texte : bien commun; brassage planétaire; écosystèmes émergents; relocalisation des systèmes de production et de distribution; hybridation naturelle et culturelle; économie émergente; évolution; dépendance; autosuffisance; échanges non vitaux; échanges vitaux; atomisation; mise en réseau; jardin planétaire; homme symbiotique
[16] Le jardin potager vu comme le principal atout de la résistance aux violences du marché (Conférence à Rochefort sur Loire “Du jardin en mouvement aux jardins de résistance” 7 maggio 2010) http://www.gillesclement.com
[17] Gilles Clément, Philippe Deliau, Christian Desplats, Carnet de Mission. Domaine du Rayol: 1989-2009, Edition Duoblevébé Récup 2009.
[18] E’ l’intervento che dà il titolo al libro di Gilles Clément, Où en est l’herbe ? Reflexions sur le Jardin Plànetaire. Testi presentati da Louisa Jones, Actes Sud 2006 , pp. 151-156.
[19] Ètonnement. In Gilles Clemént, Louisa Jones, Une écologie humaniste, cit., p. 234.
[20] Gilles Clément, Où en est l’herbe ?, cit., p. 155.
[21] Gilles Clément, Où en est l’herbe ?, cit., p. 156: “D’où l’importance d’une lecture fine: nommer les plantes, les insectes, les oiseaux comme on nomme les humains par un trait singulier ou un simple patronyme, les reconnaître pour les différencier. Dans l’état actuel de l’herbe, on en est à l’acceptation de son existence. Il reste à en faire une liste. En dressant la liste d’un arpent délaissé, on ferait le constat des apparitions, des disparitions, des échanges, on prendrait la mesure d’une évolution “.