Le coltivazioni di de Vico Fallani, umanistiche e italiane

Appassionato, costante, naturale, planetario, tenace, … Nei titoli di diversi volumi di settore (tralasciamo altri ambiti sui quali torneremo) la figura del giardiniere è stata variamente definita. Ora, come recita la copertina del libro di Massimo de Vico Fallani uscito nella collana Giardino e paesaggi di Olschki pp.175 2009 (euro 19), è la volta del “vero” giardiniere. De vico Fallani_Giardiniere_Vìride_Andrea_di_Salvo
Il vero giardiniere coltiva il terreno, citazione da Dell’Arte del giardinaggio di Karel Čapek poi raccolto nel suo L’anno del giardiniere (edito da Sellerio nel 2008) dissacrante volumetto apparso nel 1929. Il tono del testo di Fallani è invece tutt’altro. Mutuato dal tipo di fonti cui si ispira: trattati e manuali dell’Ottocento e del primo Novecento dedicati all’orticoltura e al giardinaggio: testi che spesso ripercorre in lunghi brani come nella riproduzione commentata delle illustrazioni originali. Minuziosi gli inserti su terricci, siepi e spalliere, potature di ritorno, …; godibile l’indulgere mimetico ad un linguaggio desueto; attualissimi i richiami “ecologici” come quello al prato “italiano” filologicamente inteso; quanto pure condivisibile è il lamento per la “noiosa regolarità” e, aggiungeremmo, l’omogeneizzazione dell’offerta delle piante prodotte ormai perlopiù nella logica massificatrice del mercato dei vivai a pronto effetto (esistono eccezioni da segnalare). Ad animare l’andamento normativo, affiorano preziosi esempi di casi “provati” (l’autore è stato a lungo responsabile della conservazione di giardini storici in Toscana e a Roma): il fico lasciato inselvatichire nella zona di rispetto degli Scavi di Ostia Antica; i cipressi utilizzati sul Palatino a schermare l’Antiquarium e per “ricucire” la vista dall’Aventino. Come studioso va poi per inciso a merito dell’autore la cura, con Mario Bencivenni, dell’edizione italiana della Storia dell’arte dei giardini di Marie Luise Gothein finalmente disponibile in italiano per Olschki, dal 2006 (due volumi per un totale di quasi 1200 pagine corredate di 642 tavole sempre nella preziosa collana Giardini e paesaggio). Fin dalla sua apparizione nel 1914, tradotto in inglese e francese e subito al centro del dibattito testimoniato dalle recensioni György Lukács e Max Dvořák, fu contributo fondativo per una nascente disciplina intesa finalmente ad affrontare gli studi sul giardino e il paesaggio con un approccio storico-filologico.

Ma per tornare alle “Tecniche colturali della tradizione italiana” del sottotitolo, se su tutti i temi topici l’autore fornisce la regola, pure indica il metodo della deroga, fondata sullo studio delle singole situazioni e sull’esperienza che diviene capacità critica. Un richiamo al sapere come saper fare “umanistico e artigianale” destinato in primis ad addetti e resposabili della conservazione e manutenzione dello spazio verde. E rivendicato come antidoto all’alienazione imperante di ogni pianificazione nelle politiche formative degli specialisti di settore (trascurate quando non abbandonate in nome della dequalificazione: per tutti valga nominare la sempre attesa riapertura della Scuola per giardinieri del comune di Roma).

Anche perché – aggiungeremmo – una progettazione e pianificazione “colta” e quindi ben impostata, come “sistema”, oltre a ricomprendere in un vero governo del verde anche programmazione, adeguamento e reinvenzione a fronte di sempre nuove esigenze e situazioni, determina economie nei costi di gestione e mantenimento. Crea le premesse per una competente capacità di investire che sappia sottrarre il destino del verde all’estemporaneità delle mode elettorali smascherando il falso mito del presunto risparmio derivato da esternalizzazioni di competentenze e intelligenza che producono invece durevole moltiplicarsi nel tempo di costi diretti e indiretti. Il che vale, che si tratti di giardini più o meno antichi e più o meno “storici”. Si noterà infatti come il filo conduttore adottato dall’autore per ripercorrere i suoi capitoli sia quello della conservazione del giardino storico (indicazione meritevole di figurare tra le tante presenti in copertina). Se il tema del restauro sottende l’intero volume, resta però sullo sfondo perché “altrove” trattato. Impostazione che risulta autolimitativa del respiro del libro che per voler “essere approfondimento pratico dei concetti espressi a sostegno dell’identità umanistica del giardino”, li lascia spesso sullo sfondo. E non ricompone quel “sistema” che opportunamente intende smontare (per analizzarlo) lasciando il lettore – ormai appassionato dal tono e dalla ricchezza delle informazioni – al girare l’ultima pagina con un effetto di sospensione e irresolutezza problematica, non tanto per mancanza di risposte puntuali che pure in assoluto dà, quanto della formalizzazione dei complessi quesiti “di sistema” che quelle risposte renderebbero davvero fecondi.

Massimo de Vico Fallani, Il vero giardiniere coltiva il terreno, pp.175, € 19, Olschki 2009 (collana Giardino e paesaggi), recensito da Andrea Di Salvo su Alias 18– Supplemento de Il Manifesto 1 maggio 2010