È il lento mutare dello sguardo sul giardino di cui è stato apprendista e poi artefice lungo l’intero corso della sua vita quello che Herbert Pinnegar – ottantenne capo giardiniere di una signorile tenuta inglese, ormai dimissionato, e protagonista del volume di Reginald Arkel, Memorie di un vecchio giardiniere – ci restituisce, ripercorrendo stagione dopo stagione, dapprima il volgere al tramonto di un’era dalla fisionomia, anche in giardino, composta ma piuttosto inerte e senza grandi idee come quella vittoriana. Poi, sullo sfondo delle cesure imposte dalle due grandi guerre del 900, l’eco di una tormentata vicenda sociale ed estetica, nonché di intuizioni che si anticipano, con sensibilità affatto moderna per il contesto in cui Vecchia gramigna, questo il soprannome di Pinnegar, ci congeda tra i ricordi, dal cottage e dalla serra dove è stato confinato nei suoi ultimi anni (Elliot, pp. 150, € 16, edizione originale 1950).
Una parabola, dove questo prototipo di giardiniere conformato alle stagioni per anni replicherà gli insegnamenti del suo primo capo, continuando a lungo ad assortire come dietro un sipario dalie, astri e petunie, rose centifolia e garofanini.
Ma, nella sua irrequieta formazione di autodidatta, la passione per i fiori selvatici alimentata nelle passeggiate con Mary Bryan, la volitiva maestra elementare conoscitrice principe di tutti i fiori selvatici della Contea, sarà presto messa in valore dalla sua futura mentore, la proprietaria del giardino e della Villa.
Donna curiosa e appassiona lettrice di libri di giardinaggio, la signora Charlotte Charteris, già prima di sceglierlo come assistente giardiniere, aveva premiato quel timido fanciullo nel locale concorso dove il suo mazzolino di fiori acquatici (invece dei qualsiasi assortimenti proposti da tutti gli altri) rivelava come quelli che così bene crescevano assieme lungo il canale sarebbero, perciò, stati belli assieme.
Nel racconto a un tempo del carattere del protagonista e dell’esperienza di pratiche e saperi maturati in giardino convergono le inclinazioni di Arkel, giornalista dotato di humor, autore di volumi dedicati al giardinaggio e, specialmente, di libretti teatrali e musical di qualche successo tra gli anni 20 e la seconda guerra mondiale.
Timoroso e assennato, il suo Pinnegar è però sempre combattuto, a tratti pervaso da colpi d’ingegno. Riuscendo a far maturare in serra le fragole in aprile o a regalare un’arrembante fioritura dell’ipomea blu di cui la signora Charteris aveva portato con sé – ma con davvero poche speranze – un cartoccio di semi dai giardini della Mortola, di ritorno dal suo gran tour botanico in Costa Azzurra.
In ogni caso, e magari sulla scia dell’estetica del giardino naturale propugnato da William Robinson e Gertrude Jeckill, a Bert continueranno a piacere i fiori selvatici. Anche perché quelli coltivati risultano tanto più delicati. Così, osservando le preferenze secondo cui gli irrequieti verbaschi dalle infiorescenze a candelabro si vanno disponendo in giardino – da intrusi e tuttavia capaci di resistere alla siccità – decide di lasciarne alcuni là, enfatizzandone la coreografia. Facendoli entrare a pieno titolo nel progetto.
Tale sarà il risultato, che la signora Charteris, già per tanti versi in anticipo sui tempi, deciderà, dopo aver disposto l’invito in uffici postali e vetrine dei negozi, di aprire al pubblico quel giardino irregolare. La Villa come uno dei luoghi dove si accorre in visita da ogni dove.
Con le guerre poi, il richiamo alle armi anche dei giardinieri, l’abbandono delle aiuole, la vecchiaia, i ricordi si faranno spesso confusi.
Così, dal cottage che il nuovo proprietario gli lascerà in usufrutto assieme alla serra – quella stessa che da giovane gli aveva invece ispirato la diffidenza tipica verso le …cose esotiche – Bert sempre ricorderà di quando, come in una specie di gioco al rilancio, ogni sera la signora Charteris, gli insegnava il nome latino di un fiore. Per poi interrogarlo al mattino.
Reginald Arkel, Memorie di un vecchio giardiniere, Elliot, pp. 150, € 16, edizione originale 1950, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIV, 36 Supplemento de Il Manifesto del 15 settembre 2024