Neanche la serie dei lunghi, ripetuti periodi trascorsi in carcere riuscì a interrompere l’attività di raccolta e catalogazione botanica di Rosa Luxemburg testimoniata nel suo erbario. Che va letta nel quadro di una sua forte inclinazione per le multiformi manifestazioni della vita naturale, dall’osservazione degli uccelli alla prediletta botanica (ora in una bella edizione, Elliot, pp. 415, € 50). Una passione sottotraccia che sempre accompagna la sua vocazione principale di militante e teorica della politica. E proprio Scienze naturali deciderà di studiare in un primo tempo, quando, giovane attivista, fuggirà a Zurigo nel 1890, per passare poi due anni dopo a Giurisprudenza e Economia.
Per molti anni, a più riprese, compilerà di piante essiccate e pressate una serie di 17 quaderni di scuola: dalla primavera del 1913 all’autunno del 1918, poco prima del suo assassino nel gennaio dell’anno successivo per mano di un gruppo militare controrivoluzionario dopo l’insurrezione spartachista che con Karl Liebknecht avevano guidato contro il governo socialdemocratico di Weimar.
Quasi 400 piante, perlopiù ordinarie, montate su fogli di carta con indicazione di luogo e data di raccolta, talvolta del periodo di fioriture e fragranze, spesso accompagnate da brevi descrizioni e schizzi accurati a integrare parti mancanti.
Piante incrociate in vari contesti, da quelle di campo della periferia di Berlino che danno avvio all’erbario, alle viole del pensiero del suo balcone, dai fiori comprati a quelli che le vengono spediti o regalati dagli amici che vanno a visitarla in carcere a quelle da lei raccolte in quei cortili smorti, alla foglia che si affaccia alla finestra della sua cella.
Nell’aprile del 1915 dalla prigione di Berlino scrive al suo compagno di allora, Kostantin Zetkin: “sto facendo di nuovo botanica qui! Ho con me i miei album … e a volte ricevo qualche fiore in una lettera della signorina Jacob [una primula, indicata con il nome popolare]. Ho iniziato un nuovo album per i fiori secchi (l’undicesimo! e come primo fiorellino ho inserito il bucaneve”.
Due anni dopo, dalla prigione di Wronki vicino a Poznań, dove le era permesso muoversi e persino curare un piccolo giardino, rivolgendosi alla moglie di Kautsky, Luise, confida: “ogni mattina ispeziono accuratamente lo stato dei boccioli di tutti i miei cespugli, e ogni giorno visito una coccinella rossa con due macchie nere sul dorso”. E, ancora, trasferita a Breslavia, in una prigione con minor libertà di movimento, nella primavera del 1917 scrive sconsolata: “non c’è alcuna possibilità di ‘scoprire’ nulla qui nel grande cortile lastricato”. Ma pochi giorni dopo parla di due strette strisce di erba malata e calpestata dove “in condizioni precarie; alcune piante di achillea di dimensioni nane stanno fiorendo e una dozzina di piante di biancospino stanno sollevando le loro teste gialle e soleggiate (sicuramente le conoscete anche senza saperne il nome botanico); assomigliano al dente di leone, solo molto più piccoli).
Da Breslavia, l’ultima annotazione dell’erbario è del 15 ottobre 1918, a presentare un verbasco bianco raccolto nel cortile della prigione. Poi ancora le foglie di tre piante, che non saranno però mai etichettate.
Assieme ai corrispondenti delle lettere – sempre ricche di dettagliate descrizioni su nuvole, insetti o temporali, canti di uccelli o fruscii di rami – l’erbario è certamente stato un fedele compagno del tempo carcerario scandito dai cicli di crescita delle piante. Rosa scrive da Wronki nel 1917: “Un’intera generazione di fiori sotto il mio sguardo vigile si è aperta alla vita, poi è appassita ed è morta”. Mentre in un post scriptum puntualizza: “Ieri è passato un anno da quando ho iniziato a sedere qui, e il 10 sono passati due anni da quando sono stata arrestata per la seconda volta. Ho messo una pianta di fagioli in un vaso per me; è diventato un grande cespuglio con grandi fagioli”.
Ma la sua ininterrotta relazione con la natura, così come con la politica, si rivela forma di un prender parte a qualcosa cui si è interni. Non un rifugio o uno sfondo ma una pratica, occasione di cimento dove impegnarsi nel mondo contermine, adoperarsi, interagire. Se si preoccupa della scomparsa in Germania degli uccelli a causa della riduzione dei loro habitat ad opera dell’uomo – e associa questa estinzione alla cacciata dei pellirosse dai loro territori da parte degli uomini civilizzati– nel suo giardinaggio dedica un bel po’ di tempo ad annaffiare e spruzzare “tutte queste ‘piccole persone’ ogni mattina” (sue le virgolette). E prosegue riferendo di aver “convinto una fucsia” – così dice – a fiorire una seconda volta in ottobre “evitando la pratica di noi umani sconsiderati che tagliano sempre i fiori sbiaditi”.
Non occorre arrivare ad anticipare a tutti i costi un’attenzione per la fratellanza con il non umano, o una più o meno chiara consapevolezza ecologica di una mercificazione della natura, via estrattivismo coloniale delle pratiche imperialiste, per sottolineare la coesistenza in Rosa Luxemburg della multidimensionalità dei suoi modi di interrogarsi e impegnarsi per cogliere e operare con la complessità del mondo e le molteplici forme che – anche in gestazione: i boccioli che così spesso ritornano – la vita assume: capace com’è di leggere con l’arrivo della primavera, “anche se con molta esitazione. Nel mio piccolo giardino qui non si vede ancora il verde. Ma dopo la comparsa di boccioli ho già tutti i cespugli e mi aspetto una magnifica fioritura. Tra questi ci sono: due giovani platani, un grande pioppo argentato, una “acacia” (o così la chiama la gente, in realtà è Robinia), due piccoli castagni, due ciliegi ornamentali (come quelli che avete all’ingresso del vostro giardino, con il fogliame rosso sangue), diversi cespugli di ribes ornamentale (il ribes a fiore giallo), diverse bacche di neve [symphoricarpos], un cornus rosso, che ha fiori bianchi e bacche blu, alcuni cespugli di ligustro, due cespugli di nocciolo, e inoltre molti lillà! Questi cespugli fioriranno l’uno dopo l’altro in modo meraviglioso, e io lo aspetto senza impazienza, perché già solo i boccioli mi danno una grande gioia”.
Anche nelle sue lettere i richiami a queste molteplici forme che la vita assume figurano sempre intrecciate da presso alle riflessioni sugli accadimenti contemporanei, all’analisi delle radici storiche, sociali, economiche, alla proposta politica. Tanto che, sempre dal carcere, confessa a Sonia Liebknecht: “Suppongo di essere fuori luogo per sentire tutto così profondamente. A volte, però, mi sembra di non essere affatto un essere umano, ma un uccello o una bestia in forma umana. Mi sento molto più a casa anche in uno scampolo di giardino come questo, e ancora di più nei prati quando l’erba ronza di api che in uno dei nostri congressi di partito – e chiosa con qual certa autoironia – posso dirlo a voi, perché non mi sospetterete subito di tradimento al socialismo! Sapete che spero davvero di morire al mio posto, in una battaglia di strada o in prigione”.
Rosa Luxemburg, Herbarium, Elliot, pp. 415, € 50, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XIV, 48 Supplemento de Il Manifesto dell’8 dicembre 2024