Aspettando il seguito s’intitola guarda caso la pagina (ad oggi) conclusiva della traccia testuale del pensiero produttivo di Gilles Clément attorno al suo concetto-metafora cardine e alle sue declinazioni, nel volume Il giardino in movimento. Da La Valée al giardino planetario, Quodlibet, pp. 319, є 28. Qui, paradossalmente, è proprio la lezione del giardino a ricordarci il potere di invenzione della natura.Restituitole il centro della scena, l’invito di Clément è ad affinare un’attenzione riconciliata con le energie del vivente. Per avvantaggiarsi dell’ordine biologico, l’uomo, il giardiniere, deve imparare a leggerne le tracce, osservare nel trascorrere del tempo la dialettica delle energie dei luoghi, il nascere e diffondersi delle specie e degli esseri che li abitano. Assecondare il movimento: massima manifestazione della vita, come si legge, sub voce Movimento, nel suo Abecedario per una ecologia umanista. Procedere secondo il principio del “fare quanto più possibile con, e quanto meno possibile contro”. Per intervenire, con mano leggera, in giardino come sul pianeta. Perché, trasposto di scala, il principio del Giardino in Movimento deve misurarsi sul territorio virtuale del Giardino Planetario. Altro concetto guida nel lessicopensiero di Clément che assimila ad un giardino – per definizione concluso – il nostro pianeta, ecologicamente determinato nei confini della sua biosfera. La presa d’atto di un sempre riconfigurato sistema di relazioni tra giardino, paesaggio, natura, pianeta si traduce così in operativo progetto politico di “ecologia umanista”.
Nell’andirivieni tra i due poli dialettici del giardino in movimento e di quello planetario, il volume si costruisce, per integrazioni e aggiornamenti (l’attuale ben curata edizione italiana si basa sulla quinta e più recente del 2007 di un testo apparso la prima volta nel 1991), come una sorta di opera aperta, quaderno di lavoro, repertorio anche iconografico (con un corredo di oltre 100 pagine di fotografie, disegni, progetti). Traccia del fermento di pensiero ed esperienza di questo giardiniere anomalo, capace di osservare con identico Stupore e raccontarci l’incrocio di vita che si dispiega in un metro quadro del suo giardino sperimentale, come nei paesaggi disegnati in cielo (nel volume Nuvole, ora tradotto da DeriveApprodi, 2011). Un lavorìo dove i suoi diversi saperi, di ingegnere agronomo, botanico, paesaggista, entomologo, paesaggista, si fondono in una pratica che amministra l’indagine e la riflessione divenuta pensiero attivo assieme all’attività progettuale di paesaggista e alla prassi feconda della divulgazione.
Formalizzata con i primi anni novanta, la teorizzazione del Giardino in movimento nasce ben prima, da una lunga consuetudine di osservazione e sperimentazione nel giardino-laboratorio di La Vallé a Creuse e dallo studio del ruolo che in esso giocano le erbe vagabonde (Elogio delle vagabonde. Erbe, arbusti e fiori alla conquista del mondo, ora in italiano sempre per DeriveApprodi). Specie nomadi che con la loro tendenza a ridisseminarsi vagano di luogo in luogo, viaggiando tra le stagioni per il tramite delle generazioni. Riluttanti ad ogni forma predeterminata, paradossalmente evidenziano il “valore progettuale dell’imprevisto”. Con la loro vigorosa verticalità di viventi spesso a ciclo breve trasformano rapporti di scala e rimodellano lo spazio. Tacciate di minacciare la flora indigena “legittima”, in un giardino che prende in conto il meticciato inventano invece nuove situazioni riconquistando per poi abbandonarli luoghi trascurati. D’altro canto, ogni verifica sperimentale degli assunti di partenza del Giardino in movimento determina nel lavoro di Clément correzioni incrementali e nuove messe a punto. Così negli interventi nel Parc André Citroën a Parigi in dialettica con gli usi del pubblico come nella accresciuta responsabilità della “cura” dei giardinieri; così nell’affidamento alle piante madri dell’innesco della disseminazione sui ripidi pendii del parco ferroviario de La Fichelle a Losanna o nei programmi di “vegetalizzazione” di Lione, fino – ad attingere la dimensione Planetaria – al ruolo di expertise sulle potenzialità di riconversione di cave, peschiere e canali del Lago Tai in Cina o del giardino come “macchina biologica” di riqualificazione ambientale del Parc du Chemin de l’île sulle rive della Senna; o alla valenza simbolica, nel suo essere cosmogonia di cosmogonie, del giardino senza aggettivi del Musée des Arts Premiers del Quai Branly. E che si tratti comunque “più di una prospettiva nell’approccio ai problemi individuati che di un’applicazione di soluzioni già pronte … che Il Giardino Planetario è un atteggiamento, non un libro di ricette” era già evidenziato nell’Esposizione-passeggiata svoltasi nel 1999-2000 a la Grande Halle de la Villette, a Parigi. Tappa fondamentale nel processo di disseminazione della proposta di Gilles Clément e che ha consacrato presso il grande pubblico il concetto di Giardino Planetario. Dove pure fin dal titolo, Il Giardino Planetario. O come riconciliare l’uomo e la natura, si avvertiva che a fianco del percorso conoscitivo del Giardino delle conoscenze, a richiamare la responsabilità creativa del singolo cittadino-giardiniere, si affacciavano le proposte del Giardino delle Esperienze: sorta di istruzioni per l’uso del Giardino Planetario articolate in otto grandi gesti. In giardino come sul pianeta, c’è l’opportunità – la necessità – di traguardare responsabilmente l’illusione di un ordine, di una forma che controlla e struttura l’ignoto, accettando la mescolanza, il meticciato, verso un ordine dinamico (il disordine naturale) che – se letto con sguardo straniato – porta con sé la bellezza dell’inedito, l’involontario, l’imprevisto, perché non visto, meglio non osservato, considerato. Aspettando il seguito, l’invito di Clément è lo stesso che concludeva anche L’elogio delle vagabonde. “Frazionare lo sguardo per cogliere l’equilibrio di un paesaggio … Resistere alla tentazione di durare. Lasciar venire l’invenzione… Accompagnare l’evoluzione”.
Gilles Clément, Il giardino in movimento. Da La Valée al giardino planetario, Quodlibet, pp. 319, є 28, recensito da Andrea Di Salvo su Alias – Supplemento de Il Manifesto del 9 agosto 2011