Sempre più il giardino si conferma universale grimaldello interpretativo, prisma attraverso il quale riconoscersi nel nostro molteplice appartenere al reale in divenire. Abitando cioè quella cosmogonia che chiamiamo natura e, con la nostra presenza, continuamente inventando mondi. Quindi giardini come modelli, per quanto anomali, verso cui orientarsi, aspirazioni di ben vivere, promesse di futuro. Tanto più in un presente che, conclamando la nostra corresponsabilità come agenti geologici nella messa in crisi dell’equilibrio ambientale del pianeta, ci invita, proprio per il tramite dell’immagine del “giardino planetario” suggerita da Gilles Clément ormai molti anni fa, a operare come accorti giardinieri del pianeta tutto. Con attenzione, responsabilità, rispetto. Nella consapevolezza – ai giardinieri sempre ben presente – di abitare una trama di relazioni ecologiche, in una socialità estesa, in un dialogo di creazione condivisa con il vivente.
Di questo concerto di affetti, della tensione estatica che i giardini evocano in noi pervadendo e ispirando tanta arte e letteratura ci parla il nuovo libro di Marco Martella, intitolato, da un verso della giardiniera Vita Sackville-West, Un piccolo mondo, un mondo perfetto. Con sottotitolo Coltivare, raccontare e vivere un giardino, Ponte alle Grazie, pp. 160, € 14.00.
Autore anomalo e, nella sua poliedrica produzione di scrittore di invenzione e saggista, irriducibile se non per l’incantamento che ne caratterizza l’andamento del pensiero, ci offre ora, in un periplo in forma di elegia per giardini, un viatico per traversarne quattordici del suo pantheon affettivo. Alcuni noti e però rivisitati con angolazione sempre sorprendente nello sguardo, altri meno e affatto particolari e personali, tutti occasione d’innesco per il risuonare d’associazioni di pensiero, riflessioni, suggestioni emotive.
In uno svariare sempre attento al genius loci, che da un selvatico che si svuota delle sue divinità, trascorre procedendo per via di fantasie sfrenate, come invece di un metodo di “accompagnamento” – dal parco dei mostri di Bomarzo di Vicino Orsini, al giardino delle rovine di Ninfa, al Bosco della ragnaia dell’artista americano Sheppard Craig. Nella tensione continua tra un autoesiliarsi dal mondo e il presidiare tramite il giardino, e la poesia, il restare vivi – che sia il rifugio di Chateaubriand alla Vallée-aux-Loup, come il giardino di Sissinghurst per Vita Sackville-West. Nell’aspirazione di abitare la complessità del cosmo di cui siamo parte, contemperando ogni pretesa di dominio, in comunità con l’altro da noi che ci contorna e definisce.
Tra nostalgia, bisogno d’incanto, etica della cura, “giusta misura”, Martella ci conduce così per giardini in un procedere della scrittura che intesse irriducibili contraddizioni, domande destinate e restare senza risposte, fecondo ripensare luoghi comuni. Nel senso dei topia: assieme, temi e luoghi significativi, dove – che sia nella fisicità di un confine del giardino come solo nello sguardo – marcando discontinuità nell’indeterminato si vanno disvelando piccoli mondi, eutopie, epifanie di senso dove ci riconosciamo.
Marco Martella, Un piccolo mondo, un mondo perfetto. Coltivare, raccontare e vivere un giardino, Ponte alle Grazie, pp. 160, € 14.00, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica XI, 18, Supplemento de Il Manifesto del 5 maggio 2019