Meir Shalev, un giardino selvatico di fiori nella Valle di Jezreel

Da botanico dilettante, ma gran collezionista di fiori di campo, come pure di citazioni bibliche, ricordi, emozioni, il saggista e romanziere israeliano Meir Shalev, autore altresì di storie per ragazzi, ripercorre con sottile vena umoristica il topos che vuole il lavoro della scrittura e quello in giardino accomunati da pazienza, attenzione, capacità di cogliere e associare caratteri, essenze, di “temporeggiare”, di misurarsi con congiunture, come la pioggia giusta, di tenere assieme l’entusiasmante cernita del seminare con la sollecitudine del potare o la costanza del monotono diserbo.

Il mio giardino selvatico (Bompiani, pp. 336, €28.00, con llustrazioni di Refaella Shir) è il racconto in confidenza serrata di uno spazio tempo d’elezione, senza pretese né ideologie, dice l’autore, dove ospitare residui dell’antica foresta, limitarsi a piantare bulbi indigeni salvati dagli sterri dei cantieri, raccogliere semi dei fiori spontanei per agevolarne la riproduzione. È in realtà, anche botanicamente, molto di più.

Nel giardino della Valle di Jezreel, sullo sfondo del profilo familiare del monte Carmelo, stagioni e fioriture si susseguono combinandosi ai rumori della notte, all’elogio della carriola, alla tragicomica guerra con il ratto talpa e al digradare dei differenti verdi all’imbrunire.

Spesso chiave d’accesso è l’etimologia di parole ebraiche e innesco è l’eco di versetti biblici.

Malgrado che, tra le tante piante menzionate nella Bibbia, assieme al trio fico, vite, ulivo e a tutta una serie di piante da coltivazione, alberi, rovi, arbusti spinosi e aromatiche, difettino invece i tanto amati fiori, dal papavero al ciclamino, dalla scilla al ranuncolo, all’agrostemma, l’anemone, il lupino, il fiordaliso.

Mentre invece, tra gli ospiti del giardino, oltre agli alati e gli striscianti – farfalle, ragni, picchi impertinenti, le formiche con le quali lavorare assieme –, certo non manca la sempre equivoca, incombente specie, degli altri giardinieri in visita.

Da botanico dilettante, ma gran collezionista di fiori di campo, come pure di citazioni bibliche, ricordi, emozioni, il saggista e romanziere israeliano Meir Shalev, autore altresì di storie per ragazzi, ripercorre con sottile vena umoristica il topos che vuole il lavoro della scrittura e quello in giardino accomunati da pazienza, attenzione, capacità di cogliere e associare caratteri, essenze, di “temporeggiare”, di misurarsi con congiunture, come la pioggia giusta, di tenere assieme l’entusiasmante cernita del seminare con la sollecitudine del potare o la costanza del monotono diserbo.

Meir Shalev, Il mio giardino selvatico (Bompiani, pp. 336, €28.00, con illustrazioni di Refaella Shir, recensito da Andrea Di Salvo su Alias della Domenica X, 20, Supplemento de Il Manifesto del 17 maggio 2020